24 febbraio 2013

ANTICHE TRACCE TEMPLARI ALLA PIEVE DI IGGIO

di Paolo Panni

Piccola frazione di Pellegrino Parmense, Iggio sorge nell’alta valle dello Stirone. Al centro della suggestiva borgata, che richiama ad epoche passate conta poche decine di abitanti, ecco svettare la caratteristica pieve, dedicata a San Martino Vescovo. La sua fondazione è decisamente antica. Infatti la prima citazione della chiesa emerge in un documento datato 1040, conservato nell’archivio dell’abbazia di San Salvatore di Tolla (cfr. P.M.Campi, "Dell'Historia Ecclesiastica di Piacenza"), relativamente alla donazione di alcune terre site presso la pieve di S. Martino di Iggio al monastero suddetto, da parte dell'arcivescovo di Milano Ariberto d'Intimiano proprio per la per la costruzione di un oratorio a pianta centrale a croce greca .A tale data (cfr. A.D.Petrilli, "Iggio e la sua Chiesa", in Cronache d'Arte, 1925) erano sottoposte alla giurisdizione della pieve di S. Martino le cappelle di S. Giovanni in Galla ultra montes, oggi cappella dei Volpi, di Gunda, poi dei Cavalieri di Malta, di Ceriato, di S. Genesio, ora distrutta, di S. Cristina (già officiata nel 926 ed anticamente di pertinenza del Vescovo di Parma). Quest'ultima, insieme alla cappella di Specchio, venne definitivamente assegnata alla pieve di Iggio con una sentenza papale del 1176 (P.M.Campi) dopo una lunga controversia tra la diocesi piacentina e quella parmense, che ne rivendicava la giurisdizione. Dal numero di cappelle da essa dipendenti si deduce l’importanza della pieve di Iggio nell’XI e XII secolo.






Si ipotizza fra l’altro che la sua istituzione sia addirittura antecedente al 1040: teoria, questa, sostenuta anche dal fatto della dedicazione al celebre Vescovo di Tours, santo assai venerato in epoca longobarda.

La pieve dipendeva dalla diocesi di Piacenza (da appena qualche anno è passata a quella di Fidenza) e, come sottolineato, aveva sotto la propria giurisdizione diverse cappelle. Fra queste, quella non più esistente di Santa Cristina che, come sottolineato, era di pertinenza del Vescovo di Parma. Circostanza, questa, che non mancò di sollevare tensioni tali da portare all’intervento di papa Alessadro III che, con propria sentenza del 1146, trasferì la cappella alle dipendenze del Vescovo di Piacenza. E proprio relativamente alla cappella di Santa Cristina, nel territorio di Iggio, il Campi riferisce anche dello stupore suscitato ogni anno per il prodigioso e misterioso evento delle formiche volanti che, proprio dopo la ricorrenza di Santa Cristina, iniziavano ad apparire sul monte attorno alla chiesa per due settimane, per poi scomparire.








Della primitiva costruzione romanica restano scarse tracce e, come si apprende da un carteggio relativo alla visita Pisani del 1774 conservato all’archivio vescovile di Piacenza, in cui si parla di imponenti lavori di ristrutturazione e ricostruzione non ancora ultimati, la chiesa nel suo aspetto odierno risale appunto alla seconda metà del XVIII secolo. Nel “Registro dello stato patrimoniale della chiesa”, conservato nell’archivio parrocchiale, in una nota manoscritta dell’anno 1940, tra l’altro, si afferma (pur senza l’avallo di documentazione) che l'edifico fu ristrutturato nel 1755. La costruzione subì poi ulteriori lavori di restauro nel 1924, durante i quali vennero riportati alla luce i bassorilievi romanici inglobati nel portale d'ingresso alla chiesa (A.D.Petrilli).








Di particolare interesse ciò che si può ammirare esternamente. Infatti negli stipiti del portale sono inserite delle bizze di pietra scolpite, venute alla luce proprio durante i restauri del 1924. Una raffigura un uccello bezzicante (probabilmente una colomba) mentre una pietra angolare è ornata con fiori stilizzati terminanti a ricciolo, affiancati da una piccola croce astile e da un orante.






Sul lato posto verso Occidente, si apre poi un piccolo portale. Strombato e tripartito, ornato nell’arco con motivi a scaglie e a losanghe, che presenta negli sguanci un fregio nel quale si susseguono decorazioni a foglia, rosette quadripetale, alberi stilizzati ed anche un calice, incisi in pietra locale, con un intaglio secco e netto.



Si tratta di motivi ornamentali, presi in parte anche dal bestiario medioevale, riconducibili al XII secolo. Molti di questi simboli, però, richiamano anche all’iconografia templare e, vista anche la vicinanza con la Via Francigena (la pieve insiste in un territorio anticamente attraversato da un percorso trasversale che metteva in comunicazione la strada che da Fidenza portava a Bardi e Varsi con la via Francigena e Berceto) non è affatto da scartare l’ipotesi di probabili tracce templari, che rende ancora più affascinante la misteriosa storia di questo luogo. Approfondendo questa ricca ed interessante simbologia conservata nella parte esterna dell’antica pieve, grazie anche alla preziosa collaborazione dello studioso Antonio Maria Dettori, emergono quindi altri particolari che confermerebbero, ampiamente, il legame fra questo luogo sacro e l’ordine dei Templari.





E’ sufficiente soffermarsi appunto sui diversi simboli. In uno di questi si noterebbe la coda di un pavone: animale che, in ambito cattolico, viene ricondotto alla vita eterna e all’incorruttibilità. Le sue piume, per la loro conformazione colorata, esprimevano anche un paragone con la volta celeste, dominio delle più alte sfere della sacralità cattolica.


Passando alle croci, ecco che quelle con la punta non piatta, che sembrano formare due punte per un totale di otto punte su quattro estremità, vengono chiamate, dai Templari “croci delle otto beatitudini”. Si tratta di croci usate anche dagli osiptalieri, oggi confluite nella simbologia dei Cavalieri di Malta. Una loro variante ed evoluzione è la classica croce a triangoli rovesciati che compone la croce templare, che ogni membro dell'ordine aveva cucita sul lato superiore sinistro all'altezza del cuore, in colore rosso.
La presenza di questi simboli fa più che mai pensare che il luogo, in passato sia sta un avamposto o una chiesa soggetta all’ordine templare.


Ma non è finita. Infatti in un altro simbolo sembra essere raffigurato il labirinto. Questo era usato anche per descrivere il percorso interiore ed un “cammino” verso la purezza, con il centro che simboleggia la purezza da raggiungere e la sacralità a cui bisogna arrivare attraverso le avversità della vita.


La palma come pianta, o semplicemente la foglia, vengono iconograficamente ricondotte all’elevazione spirituale e alla purezza, riconducibile alle zone di Gerusalemme, simboleggiano anche il martirio.
Infatti, iconograficamente, i santi martiri vengono raffigurati con una foglia di palma in mano (simbolo di martirio) e con l'oggetto o l'arma che ne ha decretato la morte. La palma viene scelta perché, come pianta fiorisce nel momento in cui sembra morta. Simboleggia così la morte e la fioritura spirituale dei martiri.





Un’altra croce presente e ben conservata è del tutto coerente con alcuni simbologie di sigilli templari mentre il “bicchiere simboleggia” il Graal, quindi il calice dell'ultima cena.
Il dedalo o labirinto potrebbero indicare che il luogo era anche un sito di “passaggio” e di “percorso” interiore da intraprendere, con coscienza costanza e disciplina. E’ quindi possibile che la chiesetta sia stata, in passato, di richiamo per chi voleva redimersi, o trovare sollievo dai propri peccati. Il simbolo del labirinto infatti rappresenta la tortuosa via che porta alla fede assoluta. E’ possibile che quel simbolo indicasse un luogo dove chiunque potesse intraprendere questo cammino.




I Templari, va ricordato, proteggevano in Terrasanta i pellegrini, non solo dal punto di vista pratico ma anche del sapere. Loro stessi erano, pare, custodi di un grande sapere. La chiesetta, molto probabilmente quindi di origine templare, potrebbe avere avuto anche la valenza di “scuola” per chi voleva intraprendere il cammino verso la rettitudine. Va inoltre sottolineato che la simbologia, se appunto riconducibile al XII sec, è perfettamente coerenti con il periodo dell’ordine Templare. E, dunque, il fatto che il sacro edificio, al cui interno si conserva anche un fonte battesimale in pietra (memoria della primitiva funzione battesimale), sia stato in passato un avamposto templare è ancora più evidente.



SI RINGRAZIA PER LA PREZIOSA COLLABORAZIONE L’AMICO E STUDIOSO ANTONIO MARIA DETTORI




Fonti bibliografiche e sitografiche:



www.luoghimisteriosi.it/emilia%20romagna/iggio.html

www.comune.pellegrino-parmense.pr.it/

www.wikipedia.it

“Terra di Pievi”: Marco Fallini, Mario Calidoni, Caterina Rapetti e Luigi Ughetti, Mup 2006



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20 febbraio 2013

A DUE PASSI DALLA CASA NATALE DI GIUSEPPE VERDI, UNA NUOVA RAFFIGURAZIONE DELLA PESATURA DELLE ANIME



di Paolo Panni






La millenaria chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo in Roncole Verdi è famosa soprattutto per le memorie ed i fatti che la legano alla vita del sommo musicista e compositore Giuseppe Verdi, che a poche decine di metri dalla stessa ebbe i natali il 10 ottobre 1813. All’interno del sacro edificio, visitato ogni anno da un elevato numero di pellegrini, melomani e cultori verdiani, si conservano l’organo detto “di Verdi” ed il fonte battesimale nel quale il Cigno, ancora neonato, ricevette il battesimo. Senza dimenticare il campanile nel quale, come ricorda anche una lapide posta all’esterno del tempio, Luigia Uttini Verdi nascose il piccolo “Beppino”, quando questi non aveva ancora due anni d’età, per salvarlo dai massacri perpetrati dalle orde sanguinarie di Russia ed Austria che, al comando del generale Suvaroff, inseguivano i francesi in ritirata (dopo la caduta dell’Impero Napoleonico), seminando stragi e massacri.





Coloro che si recano in visita all’antica chiesa restano comprensibilmente colpiti ed incuriositi da queste “memorie verdiane”, ma anche dai tesori che in essa sono contenuti. 
Gli ultimi interventi di restauro, eseguiti a cura del Laboratorio Restauro Dipinti snc di Stefania Prosa e Paola Zucchi di San Prospero (Parma), hanno riportato in luce, in particolare, una serie di interessanti dipinti murali, tutti eseguiti nel 1525, in un arco temporale molto breve, durato presumibilmente, a detta degli esperti, tre mesi. Cosa, questa, per altro testimoniata dalle iscrizioni riportate sui dipinti stessi. Fa eccezione il ciclo raffigurato sulla parete del presbiterio, in cui si possono identificare stesure appartenenti ad epoche diverse, eseguite a partire dal Trecento ed entro l’inizio del Cinquecento. L’ipotesi finora portata avanti è che gli autori abbiano agito senza un preciso programma iconografico, dato che la maggior parte dei dipinti trae origine dalla devozione espressa in seguito a grazia ricevuta, come testimonia la costante presenza del nome del committente. Si ritiene che anche la navata sinistra, ad oggi non sottoposta a restauri, celi sotto l’attuale intonacatura chiara, a tinta unica, dipinti quantomeno cinquecenteschi: pertanto sarebbe auspicabile, anche in questo caso, provvedere a saggi e, quindi, anche a successivi interventi di restauro. 




 Va anche evidenziato che in alcuni casi, ed in particolare sul riquadro della prima campata, sull’arcata che divide la terza campata dalla cappella e sul pilastro a sinistra del presbiterio, sono stati ritrovati lacerti di decorazioni pittoriche sottostanti la stesura bianca “quattrocentesca”.






Tornando alla navata di destra, quella dove si trova anche il fonte battesimale, come si può desumere dalle iscrizioni riportate sulle varie scene, queste, come già sottolineato, sono state realizzate in un arco di tempo molto breve, ovvero nel trimestre compreso tra il settembre ed il novembre del 1525. L’analisi delle tecniche esecutive e della tipologia delle figure porta ad affermare che era al lavoro un’unica manovalanza, che lavorava con modelli diversi. L’uno utilizzato per la scena centrale e la parte alta della medesima parete della cappella, la “Madonna in trono con Bambino” raffigurata in alto sulla parete della terza campata ed il San Lorenzo della navata centrale. L’altro invece per le figure dei Santi Donnino e Michele Arcangelo, i due angeli musicanti inginocchiati e le pareti laterali della cappella, la Madonna raffigurata sul pilastro della terza campata della navata destra e la scena centrale della parete della stessa campata con Madonna e Santi francescani, la scena con la Presentazione dei Magi della seconda campata.










Si ritiene utile soffermarsi, a questo punto, sulla piccola cappella laterale destra dove, in una mirabile sintesi, si esprime tutta la devozione roncolese. Qui spicca il grande affresco che occupa tutta la parete di fondo sopra l’altare. Vi sono raffigurati la Vergine Madre, con i santi Donnino, Sebastiano, Rocco e Michele. Per quanto riguarda San Donnino, patrono della città e della diocesi di Fidenza, questa si tratta dell’unica raffigurazione del Martire presente in diocesi, al di fuori del contesto urbano di Fidenza. Popolari, nella nostra campagna, sono le raffigurazioni di San Rocco e San Sebastiano, invocati come protettori contro le pestilenze. In alto, a sottolineare la grandezza della Maternità Divina di Maria, ecco la colomba dello Spirito Santo.





Ma è sulla figura di San Michele che occorre soffermarsi. L’arcangelo, al quale la chiesa di Roncole è dedicata, viene infatti rappresentato con una bilancia in mano. Quindi un nuovo caso di “pesatura delle anime”, o “Psicostasia” in provincia di Parma.







Il terzo nel giro di poche decine di chilometri, dopo quelli già conosciuti di Cabriolo e di Talignano. Un fatto che ha del clamoroso se si considera che questo tipo di raffigurazione, in chiese cattoliche della Penisola, è assai raro. Si tratta di una simbologia presente in svariate religioni e che affonda le sue radici al culto egizio. E’, di fatto, una parte del giudizio divino in cui l’anima del defunto viene pesata su una bilancia, per il successivo controllo dei suoi meriti. Dall’Antico Egitto provengono varie documentazioni, sia scritte che figurative. In quel tipo di culto, come si evince dal Libro dei morti, la pesatura avveniva in presenza di Osiride, per opera del dio Thot: in un piatto della bilancia si poneva l’anima e, nell’altro, un’immagine di Maat, la giustizia. La “pesatura delle anime” è presente anche nello Zoroastrismo (per il quale si svolge in presenza di Mitra), e nell’islam. Così come è presente nell’ebraismo antico-testamentario e, solo dalla letteratura apocalittica in poi, appare con valore escatologico. In questa forma passa anche nella religione cristiana, in cui l’Arcangelo San Michele si incarica nell’operazione, mentre Satana spesso cerca di togliere peso al piatto dei meriti. La stessa psicostasia è presente anche nella mitologia greca, come commisurazione dei destini.



L’Arcangelo Michele nell’Antico Testamento compare con il suo nome nel libro di Daniele (Dn 10,13.21; 12,1), dove è indicato come difensore del popolo ebraico e capo dell'esercito celeste che difende i giusti nella battaglia finale contro il Drago nell'Apocalisse: nell'iconografia viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano (come nel caso della chiesa di Roncole Verdi) e, sotto i suoi piedi, il drago sconfitto nella battaglia. L'Arcangelo viene anche riconosciuto come guida delle anime al cielo e questa funzione, tipica del Nuovo Testamento, è evidenziata nella liturgia romana, in particolare nella preghiera all'offertorio della messa dei defunti. La tradizione gli attribuisce un ruolo di psicopompo e contemporaneamente di giudice nella psicostasia, vale a dire che ha il compito della pesatura delle anime dopo la morte, tanto che in alcune rappresentazioni iconografiche porta in mano una bilancia, come nel caso sempre di Roncole. Il suo culto, palesemente sincretizzato si sviluppò nei primi secoli del Cristianesimo, specie presso i Bizantini, che lo ritenevano non solo un combattente ma anche un medico celeste e veniva popolarmente invocato per guarigioni e malattie. Già da qui si evince il legame malattia-morte-Michele. Ma se si va ad analizzare le chiare origini pagane del culto angelico, che trasforma Michele da un angelo guerriero che combatte contro Satana in un guaritore-medico e taumaturgo pesatore delle anime, non si può non trovare un paragone clamoroso con uno degli dei più importanti e interessanti del pantheon egiziano: il Dio Thot infatti vanta esattamente le stesse caratteristiche di Michele, essendo egli il misuratore del peso del cuore del defunto (che deve essere leggero come una piuma) nella cerimonia della Pesatura del Cuore che avviene dopo la morte al cospetto del Dio Osiride. Il ruolo di psicopompo, di accompagnatore delle anime, era svolto presso di Egizi da Anubi e in effetti Michele riprende anche alcuni suoi attributi, così come è palese il paragone nelle vesti e nelle armi con un altro importantissimo Dio egizio, Horus. Si potrebbe pertanto affermare che Michele va a riassumere le caratteristiche di queste tre divinità ed in effetti, attraverso l'Alessandria neoplatonica, la religione egiziana influenzò fortemente l'Impero Romano d'Oriente da cui discendono i Bizantini: in particolare la figura di Ermete Trismegisto rappresenta questo connubio tra religioni classiche ed orientali e africane, tutte accomunate da una comune base ancestrale preistorica che rendeva i confini tra di esse solo terminologici e legati al significato del nome del Dio. Tuttavia in Occidente non è possibile rivenire molte tracce bizantine, perché il dominio di Costantinopoli sull'Italia ebbe termine con l'invasione longobarda nel VI Secolo CE. E' chiaro che il grande influsso micheliano si ebbe principalmente con i Franchi, particolarmente devoti all'Arcangelo, e con gli stessi Longobardi da cui prende il nome la Lombardia e il perchè è semplice: anche nelle mitologie norrene, quella celtica in particolare, esiste la figura archetipica del Dio curatore e medico, prototipo del druido sacerdote che anticamente gestiva gli affari medico-spirituali delle tribù. Gli irlandesi in particolare veneravano un Dio della salute, medico e guaritore, Diancecht, legato alla stirpe dei Tuatha de Danaan, che aveva anche un ruolo di guerriero protettore dei suoi devoti. Spesso le divinità avevano connotati misti, in un tendenziale monoteismo o biteismo (Dio-Dea) la divinità assumeva anche altri attributi non legati al suo ambito e così capitava che un dio guaritore assumesse anche valenze guerresche o solari o magiche. Nella mitologia germanica questo ruolo sincretizzato lo assunse Odino, che era il principale Dio venerato dai Longobardi, vero e proprio mito e ispiratore della popolazione scandinava che tanta importanza assunse per il nostro Paese. Odino non era solo il capo degli Asi, ma anche un mago, che si sottopose a prove estenuanti e sovrumane per ottenere l'alfabeto runico e in questo è assai simile a Thot, che allo stesso tempo era inventore dei geroglifici e della scrittura.



L’arcangelo, come accade anche a Roncole, è comunemente rappresentato alato in armatura con la spada o lancia con cui sconfigge il demonio, spesso nelle sembianze di drago. È il comandante dell'esercito celeste contro gli angeli ribelli del diavolo, che vengono precipitati a terra. Sulla base del libro dell'Apocalisse ne vennero scritti altri dedicati a Michele che finirono per definirlo come essere maestoso con il potere di vagliare le anime prima del Giudizio. L'iconografia bizantina predilige l'immagine dell'arcangelo in abiti da dignitario di corte rispetto a quella del guerriero che combatte il demonio o che pesa le anime, più adottata invece in
Occidente.



Secondo vari studiosi, tra cui lo scrittore scozzese Robert J. Stewart, San Michele e
San Giorgio sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago, parte della fase solare del mito della creazione il cui prototipo fu il dio babilonese Marduk. In epoca ellenistica l'equinozio autunnale, come quello primaverile, era consacrato a Mitra-Sole considerato demiurgo e cosmocrator, signore e animatore del cosmo, la cui funzione era simboleggiata da una sfera che teneva in mano; ma anche mediatore cosmico e dunque, per tanti aspetti, analogo a Hermes-Mercurio. Molte funzioni equinoziali e mediatrici di Mitra-Sole-Hermes vennero ereate da san Michele la cui festa cade in Occidente nel periodo subito successivo all’equinozio.



Quindi un nuovo caso di “Psicostasia” in terra Parmense, dopo quelli già ampiamente noti di Cabriolo e di Talignano, che meritano comunque di essere approfonditi. 




Partendo da Cabriolo, è certamente di grande fascino la piccola pieve, dedicata a San Tommaso Becket, che in secoli passati fu una mansio templare, collegata a Cerro di Toccalmatto, ora fondo agricolo con una piccola cappella attualmente in uso agli attuali templari (templarioggi.it). La tradizione vuole che San Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, passò da Cabriolo nel 1167, fondandovi una cappella, quattro anni prima quindi di morire martire a causa della condanna attribuita da Enrico II d’Inghilterra. Nella Rationes Decimarum del 1230 la “ecclesia de Cacobrolo in plebe Burgi S.Donnini” è “sub templo de altra mare” mentre nel 1299 è citata non più come chiesa ma come “domus de Carobiolo”, collegata all’ospedale di San Giovanni in Parma, gestito dai cavalieri ospitali eri, ai quali erano passati i beni confiscati all’ordine templare. Ormai quasi un secolo fa, sul lato sinistro, furono riportati alla luce importanti affreschi risalenti alla prima metà del Quattrocento. Dapprima è rappresentata la Trinità, con tre persone uguali che si apprestano a consumare un pasto.










Uno di loro è l’Arcangelo San Michele, intento proprio a pesare le anime. Quindi ecco la Crocifissione ed alcuni santi, coi due committenti dell’affresco inginocchiati di fianco a S. Giovanni Battista. La particolare raffigurazione della Trinità trova riscontro nell’episodio biblico dell’apparizione del Signore ad Abramo nel deserto così come narrato nella Genesi, quando il patriarca ha anche la visione di tre uomini che stavano presso di Lui, tre “viri” letti come figure angeliche con la funzione di anticipare il mistero trinitario. Si tratta di un modo di rappresentare la Trinità che, in Occidente, è considerato assai raro a differenza di quanto accade in area ortodossa, dove si tratta di un modello ben seguito. A tale significato si somma, comunque, quello del dovere dell’ospitalità. Abramo, infatti, nel momento in cui vede i tre angeli, domanda alla moglie Sara di preparare il pranzo di focacce e pane, ed un capretto viene ucciso per l’occasione.






Le mani giunte che si possono osservare non vogliono mostrare solo il classico atteggiamento orante ma sono anche un segno di ringraziamento dal momento che sono, più spesso, le mani con le palme rivolte al cielo che attestano l’invocazione. Va anche ricordato che ai pellegrini che giungevano a Costantinopoli si mostrava il desco sul quale aveva pranzato la Trinità, i tre uomini angelicati. L’iconografia trinitaria è tipica della cultura templare, alla quale si lega anche la figura dell’Arcangelo Michele che pesa le anime andando a sottolineare la “miles Cristi”, cioè la funzione militare dei cavalieri, ma anche l’evidente ruolo di mediatore per la salvezza del cristiano. Nello specifico di Cabriolo, questa scena si affianca al Crocifisso, con Maria e San Giovanni che svolgono un ruolo di intercessione. Da evidenziare anche che del periodo templare rimane solamente la parte absidale, visto che nel 1309, in seguito allo scioglimento dell’ordine dei Templari, l’antica mansio fu saccheggiata e data alle fiamme. Destino, questo, al quale andò incontro anche l’adiacente ospedale templare. Alcuni decenni più tardi la chiesa fu quindi ricostruita ed affrescata dai Gerosolomitani, Ordine monastico-cavalleresco fondato a Gerusalemme alla fine della prima crociata con compiti di assistenza ospedaliera, che si trasformò rapidamente in ordine cavalleresco.





Successivamente fu quindi gestita dai Cavalieri di Malta (fino alla soppressione napoleonica). Attualmente è di
proprietà della Diocesi di Fidenza ed ha il titolo di parrocchia. E proprio a due passi dalla pieve, spicca la maestosa villa Guastalla-Guareschi, ricostruita nel 1860 ampliando l'antico ospedale dei Cavalieri di Malta (e prima dei cavalieri Templari), a cui avevano lavorato probabilmente i maestri frà Girolamo e Francesco Magro (1589).




Passando ora alla suggestiva pieve di Talignano, dedicata a San Biagio, questa è celebre proprio per la lunetta, posta appena sopra il portale d’ingresso in cui spicca la pesatura delle anime.




Il piccolo sacro edificio, intorno al 1230 dipendeva dal Monastero della Rochetta, situato a metà strada fra Fornovo e Bardone, sul monte Prinzera. Dalle seconda metà del 1300 passò quindi al pievato di Collecchio, ed infine divenne parrocchiale. Nella lunetta posta, come anticipato, sulla facciata, sopra il portale d’ingresso, ecco ancora una volta San Michele. La devozione nei suoi confronti, nel periodo medioevale, ha avuto una vastissima diffusione in tutta Europa, non solo perché si trova all’inizio e alla fine di un lungo percorso che la attraversava da Mont Saint Michel in Normandia, fino a San Michele in Val di Susa e San Michele al Gargano, da dove ci si imbarcava con destinazione Terra Santa, ma anche perché era il santo longobardo che aveva portato alla vittoria il duca di Benevento Grimoaldo contro i Saraceni, nel 663. Michele è da sempre il santo guerriero che lotta per la fede, che vince il male ed assicura l’anima a Dio introducendola al Suo cospetto. Non a caso, anche oggi, nelle preghiere di esorcismo, fin dall’inizio, una delle prime invocazioni viene fatta proprio a San Michele Arcangelo. Anche in questa raffigurazione scultorea, l’Arcangelo Michele viene rappresentato mentre è intento a difendere le anime che vengono pesate per il giudizio finale, mentre il demonio tenta, utilizzando un uncino, di far pendere il piatto dalla sua parte. La lastra posta nella lunetta, molto probabilmente, per un periodo è rimasta nascosta. Infatti, andando ad attingere ai documenti d’archivio, ecco emergerne uno, datato 1578, relativo alla visita apostolica di monsignor Castelli in cui si legge “Imago St.Blasij supra portam pingatur”. Non occorre certo un esperto di latino per capire il significato, vale a dire che nella lunetta sopra il portale si trovava l’immagine del santo titolare (San Biagio), posta in sostituzione di una immagine preesistente, giudicata inadeguata. Secondo le voci che, da tempo, si rincorrono in paese, pare che in epoche passate la lunetta sia stata rimossa su indicazione di un Vescovo che la considerava, appunto, inadeguata. Probabilmente don Botti, a cui va il merito di importanti restauro che hanno riportato la pieve all’antico splendore, potrebbe aver ritrovato la lunetta della psicostasi, rimasta per diversi secoli all’interno della chiesa, facilmente utilizzata per la chiusura di un forno. Grazie all’iniziativa di Don Botti, potrebbe quindi essere stata ritrovata agli inizi del Novecento e riportata nella sua posizione originaria. Notizia, questa, che il sacerdote non ha mai né confermato né smentito. E’ comunque importante che sia tornata ad avere la giusta evidenza, anche per la valorizzazione e la promozione di un luogo che, da sempre, è meta di numerosi pellegrini.



Per chiudere, quindi, sono ben tre, nella sola provincia di Parma (di cui due nella diocesi di Fidenza), le raffigurazioni della Psicostasia. Cerimonia questa, che nello scorrere dei secoli, va a legare culture e religioni assai differenti fra loro.



FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE:

Marco Fallini, Mario Calidoni, Caterina Rapetti, Luigi UGhetti: “Terra di Pievi”, Mup Editore, Parma 2006

Isabella Dalla Vecchia,
www.luoghimisteriosi.it


Luca Belforti,
www.roncoleverdi.it

 
www.treccani.it

www.pbmstoria.it

www.romanico-emiliaromagna.com

www.satorws.com



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18 febbraio 2013

La Madonna della Notte: apparizioni a San Bonico?

di Giovanna Bragadini
A San Bonico, nel piacentino, un veggente afferma di essere visitato dalla Madonna. Il fatto accade da sei anni, ogni giovedì fra le 19.30 e le 20, in un campo; a segnalare il luogo, sul ciglio della strada c’è un albero decorato con fiori, ex voto e lumini. Sembra che il veggente sia autorizzato a chiamare la Madonna quando ne sente la necessità, e lei apparirebbe a richiesta.


Il 13 dicembre 2012, sfidando il freddo, siamo andati all’appuntamento settimanale: la scelta è stata azzeccata perché molti sono rimasti a casa – solitamente sono presenti circa 300 persone – permettendoci di vedere bene tutto. Fastidiosissimi i flash di chi sperava, forse, di immortalare un’apparizione con quel metodo. Il k2 di cui ci siamo muniti ha dato curiosi risultati: mentre eravamo in cerchio intorno al veggente, per due volte il rilevatore si è illuminato velocemente fino al rosso, la prima volta mentre ci passava davanti una persona, la seconda mentre eravamo fermi. Vista la “densità di popolazione” non escluderemmo l’interferenza di qualche cellulare (che in stand by non danno campi rilevabili, mentre quando ci sono chiamate o messaggi in entrata o in uscita fanno schizzare al rosso il k2).
Più particolare è stato il momento successivo alla “visione”, quando tutti siamo tornati verso l’albero addobbato. Nel giro di circa 10-15 minuti il k2 si è spinto più volte fino alla luce arancione, quindi a metà della scala. Vorrei precisare che avevamo il cellulare spento, il mio era silenziato ma era nello zaino e non ho ricevuto chiamate né messaggi; eravamo distanti dal resto del pubblico; un vicino altoparlante, che abbiamo testato, non faceva spostare di un millimentro il rilevatore.
Nota divertente, mentre stavamo tornando verso l'auto due persone ci hanno chiesto se eravamo inviati di Mistero – avevano notato il k2 – e abbiamo saputo che la trasmissione è stata contattata e dovrebbe realizzare un servizio.
Un membro del nostro gruppo ha avuto invece un’esperienza particolare: «a febbraio del 2012 sono andat* a San Bonico. Premetto che dopo la morte di mia madre ho sempre avuto difficoltà a rimanere in piedi per diverso tempo, soprattutto se il luogo in questione era una chiesa perché proprio lì lei ha avuto il primo segnale della sua malattia. Quella sera sono riuscita non solo a rimanere su due piedi per un paio d'ore ma ho avvertito una brezza calda attorno a me, durata il tempo del rosario e dell'apparizione. Suggestione? Non penso, non ero partit* con la convinzione che qualcosa accaddesse, anzi la mia era soprattutto curiosità e scetticismo. Quella stessa sera, senza avvertire problemi di salute o segnali particolari, la mia mente, mentre si recitava il rosario, mi dice che devo assolutamente andare dal medico e la cosa persiste tutta la serata. Il giorno dopo vado dal dottore, che mi trova la pressione a 200/110... mi ha presa per il rotto della cuffia insomma, mi sentivo bene, forse è stato uno sbalzo improvviso della pressione ma se non fossi andata dal medico non so come me la sarei cavata. Fortuna, forse, illuminazione, forse: di fatto da allora riesco a rimanere in piedi ad ascoltare senza avere troppe difficoltà».
Aggiornamento da Paolo Panni (presente con me il 13/12):
giovedì 3 gennaio è stato fatto il resoconto di un fatto accaduto il giovedì precedente. A questo riguardo faccio una premessa dicendo che giovedì 13 dicembre, nel messaggio che abitualmente viene dato, al veggente era stato detto che nei tre giovedì successivi sarebbe accaduto un fatto importante, che tutti avrebbero visto. Tale fatto si è appunto verificato giovedì 27 dicembre. Il veggente, durante l'apparizione, ha esclamato "brucio brucio" cadendo a terra... nella mano sinistra le persone a lui più vicine hanno notato aprirsi una ferita che poco dopo si è rimarginata. Nel palmo della mano si è formata una "macchia" tondeggiante... il veggente ha chiuso la mano riaprendola poco dopo. Sul palmo si trovava un'ostia che si è rotta a causa del movimento della mano stessa. Il veggente aveva, accanto a sè, due medici, tra cui un anestesista e, se non erro, un neurologo, entrambi di Fontanellato. I due profesisonisti, il 3 gennaio, hanno preso la parola in pubblico confermando tutto questo, raccontando quindi quello che hanno visto. Uno di loro ha raccolto un frammento di ostia che era caduto a terra e lo ha ingerito... la restante parte dell'ostia, il veggente, l'ha somministrata ad un sacerdote lì presente ed alla moglie. Entrambi hanno consumato la particola, che il sacerdote ha per altro benedetto. Uno dei due medici ha realizzato alcune fotografie dell'ostia e ne ha fatto alcune stampe che giovedì scorso ha distribuito ai presenti.
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17 febbraio 2013

A TRAVAZZANO SULLE ORME DEL FIGLIO ILLEGITTIMO DI FEDERICO II DI SVEVIA


 di Paolo Panni







E’ di origine romana l’imponente castello di Travazzano (frazione del Comune di Carpaneto Piacentino), posto sulle prime colline tra la Val d’Arda e la Val Nure, in provincia di Piacenza. 







Indicato con la denominazione di Trabicianum, il fortilizio si trova citato per la prima volta nel secolo XI, quando fu tra i rifugi dei nobili fuoriusciti dalla città .
Nel 1088 i popolari vi si recarono con l’obiettivo di distruggere l’abitato ed occuparono anche il castello in cui si trovavano 20 militi con altri ghibellini.
Per l’Epifania del 1l36 vi soggiornò inoltre l’imperatore svevo Lotario II, dopo aver tenuto una Dieta nella non distante Roncaglia. Appartenente alla nobiltà sassone, Lotario II estese (1100 circa) i suoi domini in seguito al matrimonio con Richenza, nipote ed erede di Ottone di Northeim, della casa di
Brunswick, mentre la restante parte del ducato gli fu affidata dallo stesso imperatore. Postosi a capo dell'opposizione dei Sassoni contro la casa di Franconia, divenne, alla morte dell'imperatore Enrico V, il candidato dei principi ecclesiastici, avversario di Federico di Svevia, nipote del sovrano defunto, e fu eletto a Magonza re di Germania (1125). La sua elezione provocò una lunga guerra contro la parte avversa, resa più accanita anche dalla proclamazione di un antiré (Corrado, il futuro Corrado III) e terminata appena intorno al 1135. Nello stesso tempo fu coinvolto nella contesa tra il papa Innocenzo II e l'antipapa Anacleto II. Il pontefice, recatosi in Germania a chiedere il suo aiuto, fu da lui ricondotto a Roma, dove in compenso ottenne la corona imperiale (1133) e l'investitura dei beni allodiali lasciati dalla contessa Matilde. Promosse l'espansione germanica verso l'est e verso il nord, che affidò ad Alberto l'Orso poi margravio di Brandeburgo, a Corrado di Meissen, ai conti di Schauenburg e al vescovo Ottone di Bamberga. Nella primavera del 1137 tornò di nuovo in Italia, alla conquista della Toscana e per combattere Ruggero II re di Sicilia, che continuava a sostenere l'antipapa contro Innocenzo II. In seguito ai contrasti con il pontefice circa il diritto di investitura della Puglia e per il possesso di Salerno, e a causa della ripresa dell'offensiva dei Normanni di Ruggero e degli Amalfitani (mentre in Roma resisteva l'antipapa), Lotario II fu costretto a ritornare in Germania; morì durante il viaggio.
Tornando al maniero piacentino, Nel secolo XIII fu della nobile famiglia Mancassola, proprietaria di vasti beni in Val Chero e nelle sue adiacenze.









Distrutto una prima volta nel 12 l6, venne occupato dalle milizie imperiali di Enzio (o Enzo), re di Sardegna nel l244 e nel l246 quando il re stesso, chiamato da Alberto Da Fontana, tentò invano la conquista di Piacenza. Enzo, figlio illegittimo dell'imperatore Federico II di Svevia (pertanto, in quanto illegittimo, escluso dalla successione al trono), ricevette dal padre il titolo di re di Sardegna come dono di nozze quando, nel 1238, per interesse, sposò Adelasia di Sardegna per impadronirsi, senza guerra, di una regione che era importante nei progetti egemonici del Papa. E il Pontefice, Gregorio IX, reagì con inattesa asprezza scomunicando gli sposi, cancellando il matrimonio e quindi anche la fresca regalità di Enzo, noto anche come amante della cultura, dello sport e del gentil sesso nonché come valorose e spietato condottiero.
Di rilievo, un fatto di sangue accaduto nel 1313 quando il duca Galeazzo Visconti, nella speranza di ottenere una tregua duratura nelle incessanti lotte tra le parti, decise di convocare il Consiglio Generale cittadino, invitandovi pure i due maggiori responsabili delle discordie (Alberto Scoto per i popolari e Ubertino Landi per i nobili) e ordinando loro di intavolare pacifiche trattative.
Accorgendosi che la riconciliazione era impossibile, il Visconti trattenne i due capi e, sotto una buona scorta di 600 uomini armati, li inviò a Milano dove li tenne per qualche tempo a domicilio coatto.
La decisione del duca diede origine ad un profondo malumore, sfociato in atti di violenza tra le fazioni. Tra l’altro, Daniele Landi, padre di nove figli, venne assassinato proprio a Travazzano da elementi di parte scottesca.





Verso la metà del sec. XVI, il maniero costituì dote di Isabella Scotti, andata sposa al conte Piero Bettoni; la loro figlia, Margherita, a sua volta, per matrimonio, portò il fortilizio al marito, cavalier Alessandro Chiapponi. Nel l547 il fortilizio venne diviso a metà fra i conti Riva e Ottavio Chiapponi. In seguito, i Chiapponi rilevarono anche la porzione dei Riva e tennero il tutto fino alla estinzione della famiglia avvenuta nel l798.
Nel l616 Rosa Scotti, coniugata con un Bracciforti vendette una parte dell’edificio al cavalier Bartolomeo Riva.
L’edificio passò quindi ai Sidoli, una dei quali, Teresa, nel 1852 lo lascio in eredità al seminario di Bedonia, che lo adibì a villeggiatura estiva per i seminaristi.



Il 5 maggio 1860 nel castello si rifugiò clandestinamente il vescovo di Piacenza, monsignor Antonio Ranza per non essere costretto a celebrare – contro le disposizioni delle superiori autorità ecclesiastiche – solenni riti religiosi in occasione della visita del re Vittorio Emanuele II negli Stati di recente annessi al Piemonte. Per essere sicuro di non essere rintracciato, dopo una breve sosta nella località, il presule si spostò nel vicino fortilizio di Masana, di proprietà vescovile.
Fino ai primi decenni del 1900 Travazzano fu anche residenza estiva del Vescovo di Piacenza.
Il castello è impostato sullo schema tradizionale piacentino: pianta rettangolare con quattro torri ai vertici. Oggi se ne conservano solo due, una circolare e l’altra quadrata.
In un salone si trova un camino di pregevole fattura con lo stemma dei Chiapponi; interessanti pure i soffitti a cassettoni in struttura lignea dipinta.









 FONTI SITOGRAFICHE E BIBLIOGRAFICHE:
 
www.leasint.it/pdf/CASTELLO.pdf


 www.emiliaromagna.beniculturali.it
http://www.mondimedievali.net/Castelli/emilia/piacenza/provincia04.htm

www.comune.carpaneto.pc.it

turismo.provincia.piacenza.it

www.treccani.it

www.stupormundi.it/Re_Enzo.html

 http://www.clueb.com



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