di Paolo Panni
Mille anni di storia accompagnano le rovine del Castello di Roccalanzona (Parma). Ruderi che possono essere ammirati da buona parte della Val Ceno. Il maniero esisteva già attorno all’anno mille. In particolare è citato in una pergamena del 1028, attualmente conservata nell'Archivio di Stato di Piacenza. In questo documento è scritto che il 4 Luglio del 1028 una certa Ildegarda, figlia di Oddone, di nazionalità Salica e sposata ad Oddone Gauselmo, longobardo, vendeva molte terre, corti e castelli, tra i quali vi era la "Rocca Petraluizoni cum portione Castro ed Rocca ibi habente".
Smantellato nel 1295 e poi ricostruito, secondo le scarse notizie storiche che lo riguardano, sarebbe stato conteso fra i Pallavicino ed i Vinciguerra di Varano dè Melegari. E’ certo che appartenne ai Rossi; infatti, nel 1468 Bernardo Rossi, vescovo di Novara, lo lasciò, unitamente a parecchie altre ville, al figlio legittimo Guido. Nel 1479 era di proprietà del celebre Pier Maria Rossi e fallì ogni tentativo che venne fatto per conquistarlo, compreso quello effettuato nel 1482 da Sforza II. Una rocca imprendibile, quindi, al punto che lo stesso Pier Maria la ribattezzò come “Rocha Leone” nel suo inventario castellano. Pier Maria lasciò quindi il maniero al figlio Bertrando, che ne rimase signore anche durante l’imperversare di Ludovico il Morto, sostenuto dai Pallavicino, contro la famiglia Rossi. Grazie anche alla sua posizione, pare che fra tutte le rocche rossiane, solo Roccalanzona sia riuscita a resistere agli assalti di Ludovico il Moro. Il luogo fu poi di Troilo Rossi per poi passare alla Camera Ducale Farnesiana e, di nuovo, nel 1653, passò a un Rossi, Scipione. Che, tuttavia, dovette quasi subito cederlo alla Camera Ducale con le contee di Berceto e Fornovo. E’ noto che il castello era provvisto anche di una chiesa, esistente ancora nel 1739, che fu poi demolita ed il materiale di recupero fu usato per costruire un altro sacro edificio più a valle.
Oggi, della poderosa ed inespugnabile rocca, restano solo le rovine, per altro difficilmente raggiungibili. Ci sono i resti evidenti di un grande mastio e evidenti tracce di mura con numerose feritoie. Esiste ancora un’apertura che immette in un vano con soffitto a volta in fondo al quale si trova una bella balestriera. Il fatto che le rovine si estendano su un’area parecchio vasta, lascia intendere che le dimensioni del castello fossero notevoli e, di certo, di gran lunga superiori a quelle che si notano oggi. Gli anziani del luogo ricordano di aver visto, in una stanza, anche un affresco mariano di cui, tuttavia, non rimarrebbe traccia. Forse un resto dell’antica chiesa che qui sorgeva ed in cui si trovavano le tombe degli abitatori del luogo?
Tante sono le leggende nate attorno alla storia di questo maniero. In particolare si racconta, tutt’oggi, di un complesso di gallerie sotterranee che permettevano, in caso di assedio, di ricevere rifornimenti alimentari e rinforzi militari, oppure di fuggire. Si dice che fossero ampi passaggi, con rivestimenti in blocchi di pietra ed illuminati da torce fisse. In questi sotterranei, secondo la leggenda, sarebbe stato nascosto anche un vitello d’oro, venerato come una deità. Con la distruzione del castello, il prezioso simulacro sarebbe quindi stato perso e mai più ritrovato. Delle strutture sotterranee, nel tempo, non sono mai state ritrovate tracce, ma è anche vero che nessuno le ha mai approfonditamente cercate. Come in tanti altri luoghi, anche qui si parla della presenza di un “pozzo del taglio”. E, visto che fra le mura in rovina si nota un leggero avvallamento circolare, ecco che secondo alcuni questa potrebbe essere l’imboccatura del terribile pozzo.
Localmente viene poi tramandata un’altra interessante ed inquietante storia secondo la quale i nobili organizzavano, nel maniero, serate danzanti, alle quali venivano invitate anche graziose contadine della zona. Una volta mangiato, bevuto e danzato, i signori sceglievano la fanciulla con cui avrebbero trascorrere la notte. E se qualcuna di loro osava rifiutare veniva gettata proprio nel “pozzo del taglio”, profondo una quarantina di metri, con fissate, sul fondo e sulle pareti, diverse spade taglienti. Per la vittima non c’era ovviamente scampo.
Qui, da tempo, si tramanda anche la leggenda di Pietra Corva secondo la quale la figlia del conte di Roccalanzona, si innamorò di un giovane di Gallicchiano, una località nei pressi di Riviano, che pascolava le proprie pecore vicino a Pietra Corva. La ragazza apparteneva alla nobile discendenza dei Rossi di San Secondo, mentre il giovane a quella rivale dei Pallavicino. Secondo la leggenda i due innamorati si gettarono dalla rupe di Pietra Corva per non essere mai più divisi. Nelle notti di luna piena si dice che si vedano aleggiare nel cielo due candidi mantelli, che piano piano ricoprono Pietra Corva, scomparendo poi nella notte.
La “Rocca dei leoni” era in rovina già sul finire del Seicento, lo evidenzia anche il rogito Pisani del 1666. E tutt’oggi, seppur ridotta ad uno “scheletro” domina sulle valli Dordone, Ceno e Taro.
TESTI E FOTO DI PAOLO PANNI
FONTI BIBLIOGRAFICHE, SITOGRAFICHE E STORIOGRAFICHE
Tiziano Marcheselli, “Fantasmi e leggende dei castelli parmensi”, Umberto Nicoli Editore
Giovanni Finadri, “Castelli sconosciuti del Parmense”, Stamperia scrl, 2012
Guglielmo Capacchi, “Castelli Parmigiani”, Silva Editore 1997
www.comune.medesano.pr.it
www.iluoghidelcuore.it
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