di Paolo Panni
Il 16 agosto, e quindi subito dopo la solennità dell’Assunzione di Maria (15 agosto), si celebra la festa di San Rocco. Santo il cui culto è fra i più diffusi della Chiesa Occidentale: un fenomeno dalle dimensioni decisamente vaste, su cui si sono depositati secoli di storia e di leggenda. Celebre pellegrino, taumaturgo, ed eremita, secondo alcuni studiosi anche Terziario francescano, è particolarmente venerato nelle terre emiliane. Nel Parmense e nel Piacentino, così come nelle altre province dell’Emilia, non si contano le chiese e gli oratori a lui dedicati. Dalla Bassa all’Appennino, dalle città ai più piccoli borghi della campagna o della montagna, in quasi tutti gli edifici sacri vi è almeno una immagine del santo o, qualcosa legato alla sua storia ed al suo culto. Spesso e volentieri, chiese, oratori e devozioni, sono sorti laddove vi sono stati episodi di pestilenza. E’ noto infatti che San Rocco è conosciuto, soprattutto, come guaritore e taumaturgo. In epoche passate, quando le epidemie di peste erano ampiamente diffuse, San Rocco veniva invocato dai fedeli, al fine di ottenere guarigioni ed affinchè queste stesse epidemie venissero debellate. La sua storia è fortemente legata, e va ribadito, alle terre emiliane. Il Santo di origine francese avrebbe soggiornato a Sarmato ed a Caorso, avrebbe operato guarigioni a Piacenza. Nel pieno del medioevo, quando povertà e violenza, assieme a contagi ed insicurezze, flagellavano persone e comunità precarie ed indifese, questo personaggio soccorreva gli appestati divenendo ben presto una vera e propria icona della solidarietà e della fratellanza. Così dal Quattrocento in avanti la sua figura si è rapidamente imposta in tutta Italia ed in tutta Europa.
Permane però, sulla celebre figura del pellegrino e taumaturgo, un grande interrogativo. Quella che lo riguarda è storia o leggenda? La realtà del pellegrino originario di Montpellier è racchiusa in un paradossale contrasto: da un lato è uno dei santi più venerati della storia della Chiesa e del popolo cristiano, ma dall’altro la sua vita appartiene ormai più al limbo della tradizione e delle leggenda che non al dominio della storia, perché sono assai poche, e scarsamente documentate, le vicende conosciute ed attendibili del suo percorso umano e cristiano. L’oscurità è così fortemente diffusa ed evidente che, da tempo, non pochi esperti e studiosi, ritengono che la figura di San Rocco non sia altro che una pia invenzione.
Pochi anni fa è uscito un libro, “San Rocco Pellegrino”, edito da Marcianum Press (con tanto di presentazione del cardinale Angelo Scola), curato da Paolo Ascagni, uno dei massimi studiosi rocchiani, autore anche di altre pubblicazioni dedicate a San Rocco. Con questo volume, Ascagni ha cercato di districare le tracce della storia dalle secolari incrostazioni della leggenda, ripercorrendo le principali direttive di studio che, in particolare dall’Ottocento ad oggi, hanno recato di fare luce sulla indefinibile figura del santo. Ne è sorto un ritratto tanto problematico quanto avvincente dell’affascinante carisma di Rocco di Montpellier, uomo dai mille misteri, crocevia di questioni irrisolte ma simbolo sempre attuale della santità cristiana e dei valori umani più veri e profondi.
A porre forti dubbi sull’esistenza di San Rocco è Pierre Bolle, celebre studioso e ricercatore dell’Università Libre di Bruxelles, che con Ascagni ha pubblicato “Rocco di Montpellier. Voghera e il suo santo” (2001). Secondo lo studioso belga si sarebbe di fronte ad un duplicato agiografico. In pratica il celebre santo di Montpellier sarebbe il “doppione” di un altro santo vissuto nel VII secolo, vale a dire Racho di Autun. Quest’ultimo, dati ecclesiastici ufficiali alla mano, è stato9 il primo vescovo franco di quella città, è morto intorno al 660; è festeggiato il 28 gennaio (ma anche il 5 dicembre) ed il suo nome è equiparato a “Ragoberto”, una concordanza in realtà molto discutibile. Per coloro che sono interessati ad approfondire ulteriormente la questione, rimandiamo ai saggi riportati diffusamente sul portale sanroccodimontpellier.it. Di fatto, Pierre Bolle dimostra che i numerosi racconti, cioè le antiche “Vitae”, infarciti di stereotipi, non sono affatto utili sul piano rigorosamente storico. E presenta invece numerosi indizi di natura liturgica, che gli consentono di arrivare a conclusioni originali e proposito dell’evoluzione del processo leggendario, prima che esso assumesse una forma letteraria. Per esempio, nella regione francese di Montpellier, una menzione del santo come “vescovo e martire” (ciò che in effetti egli non è), al 16 agosto di un calendario liturgico del XV secolo, era sempre stata interpretata come la confusione di un copista con San Raco, vescovo di Autun e protettore dalla tempesta, venerato come già anticipato il 5 dicembre. Come dimostra una ricerca più approfondita, anche diversi manoscritti della Linguadoca presentano questa particolarità. Essa, dunque, traduce piuttosto un uso liturgico regionale del santo di Autun spostato ad un’altra data del calendario, che è quella del 16 agosto. Questo è confermato da altri indizi di “duplicazione”: alcuni lezionari inediti del santo di Autun; una preghiera in francese medievale del XV secolo, che associa “pestilenza”, “peste” e “tempesta”; una messa in latino che associa “languores epidemiae” ed “aeris tempieres”; una xilografia provenzale della fine del XV secolo,, che riproduce entrambi i santi; infine, anche una tradizione italiana sulla vendita delle reliquie. L’accumulo di tutte queste testimonianze di natura liturgica, iconografica, leggendaria e storica porta di conseguenza a sostenere che San Rocco di Montpellier è un “doppione” agiografico di Raco di Autun, santo vescovo il cui culto pare risalire all’epoca merovingia. Tale sdoppiamento si è determinato principalmente per ominimia (Raco/Rocho) ed inoltre a seguito di un processo linguistico di aferesi, relativo alla sua funzione di “protettore”: “tempeste” è così diventato “peste”. Lo sdoppiamento è stato inoltre facilitato dalle concezioni medievali medico-aziologiche in materia di epidemie; derivate dalle teorie miasmatiche di Ippocrate e di Galeno, che stabilivano in modo molto netto un legame causale diretto tra le epidemie e le perturbazioni meteorologiche, specie le tempeste. Facendo ora un bilancio della questione, considerando le due principali cronologie dedicate al santo, emerge che la tesi tradizionale, quella di Francesco Diedo (che è la più conosciuta) presenta troppe incongruenze per poter essere accettata; la nuova, della “Scuola Italiana” è invece da ritenere più attendibile. Gli studiosi persuasi dell’esistenza di San Rocco sono pressoché tutti allineati alle posizioni della “nuova cronologia” che, di fatto, è la sola capace di risolvere, seppur in parte, i molti punti interrogativi che permangono sulla biografia del santo.
Paolo Ascagni, al quale a suo tempo è stato chiesto di esprimersi sulla esistenza o meno del santo, ha tenuto ad evidenziare che, se in Francia, il culto è nato da una contaminazione con San Raco determinando una “confusione liturgica”, in Italia la devozione è nata in modo del tutto indipendente tra Voghera e Piacenza. Sostiene quindi l’esistenza di un personaggio che ha vissuto episodi importanti della sua vita nella nostra zona, ed al quale sono state nel tempo attribuite leggende e cose non verificabili. Permane, in ogni caso, il simbolo sempre attuale della cosiddetta santità cristiana e dei valori umani più veri e profondi.
LE VICENDE DI SAN ROCCO A SARMATO
Secondo la leggenda, San Rocco da Montpellier, di ritorno dal suo viaggio di pellegrinaggio a Roma si ammalò di peste mentre assisteva i contagiati ricoverati nell'ospedale di Santa Maria di Betlemme in Piacenza. Fuoriuscito dalla città, si rifugiò in una capanna o (secondo altra narrazione) in una spelonca nel bosco vicino a Sarmato, non lontano dal guado di Calendasco sulla via Francigena. Un cane ogni giorno rubava una pagnotta dalle cucine del vicino castello e si allontanava con la pagnotta in bocca; Gottardo Pallastrelli, signore del maniero, accortosi di questo fatto seguì il cane ed in questo modo incontrò il santo, a cui detto cagnolino portava la pagnotta (per questo San Rocco è sempre rappresentato con, al fianco, un cagnolino con un pezzo di pane in bocca). Gottardo assistette Rocco sino alla guarigione di quest'ultimo e quando San Rocco -guarito- ripartì, Gottardo lasciò i suoi beni per divenire anch'egli pellegrino sull'esempio del suo amico.
A Sarmato sono conservate tuttora la fontana, la chiesa e la grotta dedicate al santo patrono.
In fondo al viale posto alle spalle della chiesa parrocchiale dell'Assunta vi è il piccolo, grazioso santuario dedicato a San Rocco, edificato nel XVI secolo
sopra l'antro che ospitò il santo pellegrino taumaturgo di Montpellier.
Non distante dalla piazza principale del paese (Piazza Roma) e dalla chiesa parrocchiale stessa, è tuttora visibile ed attiva la cosiddetta "fontana di San Rocco", fonte sgorgata miracolosamente, secondo leggenda, per permettere a San Rocco di dissetarsi e lavarsi.
In paese si trova anche la casa detta di San Rocco, lungo la linea delle risorgive. Scampò miracolosamente alla peste e qui la storia e la leggenda si intrecciano: l'intervento di un angelo consolatore, una pioggia miracolosa, con la formazione di una provvida fontana, il cane che porta una pagnotta, l'incontro con il conte Gottardo, la conversione di quest'ultimo, la fondazione di un cenobio, la sua partenza verso la Francia, la promozione della sua Santità ad opera di Gottardo, l'albero di pere miracolosamente spuntato dal suo bastone. I sarmatesi, riconoscenti per la protezione del Santo, trasformarono la sua capanna in cappella; nel XVI Sec. eressero una piccola chiesa che nel secolo successivo ebbe definitiva sistemazione: ad una sola navata e con la facciata a capanna, che nel periodo anteguerra fu coperta con una quinta neoclassica. all'interno é conservata una pregevole statua barocca del Santo, particolarmente fedele all'iconografia tradizionale. Una vicenda legata all'albero di pere e a San Rocco è il rapimento, tuttora presente nella memoria familiare di alcuni sarmatesi, di una giovane di nome Gertrude, figlia di un fabbro con bottega nei pressi dell'oratorio. Un conte Scotti aveva notato la sua bellezza e non perdeva occasione di trovarsi sul suo cammino: la giovane ha tentato invano di passare inosservata, trascurandosi nel vestire e nella pulizia del viso, ma una domenica mattina sul sentiero che collegava la chiesa all'oratorio, fu presa con la forza da alcuni sgherri e portata al castello. Dopo qualche tempo venne gettata da servi ubriachi da una finestra anziché nel pozzo del taglio, come ordinato dal conte, salvandosi miracolosamente e riparato nella sua casa dove visse nascosta in soffitta per 14 anni fino alla morte del suo aguzzino. A questo fatto avvenuto alla fine del XV secolo, sembra legato l'inaridimento del pero miracoloso, già nato dal bastone di San Rocco, che dava frutti squisiti ed efficaci contro ogni sorta di malattia.
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Fonti bibliografiche e sitografiche:
P.Ascagni, “San Rocco Pellegrino”, Marcianum Press 2007