di Paolo Panni
Di quella che, un tempo, era l’imponente Rocca di Berceto, rimangono oggi solo i ruderi. Rimasti a lungo sepolti al di sotto di un vecchio parco giochi, sono stati riportati alla luce, non molti anni fa, grazie ad un attento ed intelligente lavoro di scavo e recupero che ha permesso di arrivare a realizzare quel parco archeologico che rappresenta la testimonianza diretta, ed eclatante, di quello che era un possente, inespugnabile maniero.
Per coloro che si recano in visita all’antico, affascinante borgo di Berceto, non può mancare una “tappa” a questi resti che sorgono a due passi dal centro storico, ancora oggi quasi a “vegliare” sulle vicende di Berceto, e dei suoi abitanti.
Aggirarsi fra questi scavi significa osservare i resti di antiche torri, sale, cunicoli e segrete, prigioni e pozzi.
La storia di questa rocca, sorta senza dubbio sui resti di un remoto presidio longobardo, affonda le proprie radici ad oltre otto secoli fa. Esiste, negli archivi, un documento datato 1252 in cui si evidenzia che il castello era occupato dai fuoriusciti ghibellini. Che lo tennero almeno fino al 1308. Fu al centro di lunghe ed aspre contese; tra i proprietari che, nel tempo, si sono susseguiti spiccano il Comune, il Vescovo di Parma, il cardinale Luca Fieschi, Azzo da Correggio, la Camera Ducale, i conti Boscoli ed i Tarasconi-Smeraldi. Ma, soprattutto, la nobile e potente famiglia Rossi, che ne ebbe a lungo il dominio. Fra le sue mura nacque il celebre condottiero Pier Maria Rossi al quale si deve, di fatto, l’unica testimonianza visibile della possente rocca di Berceto, raffigurata da Benedetto Bembo, nella famosa “Camera d’Oro” di Torrechiara, proprio per volere di Pier Maria.
E sono tanto ricchi di fascino, quanto inquietanti, i misteri e le leggende che si celano fra le antiche mura di questo glorioso castello. I bercetesi, nel tempo, hanno sempre parlato di urla agghiaccianti provenire dai sotterranei. Forse il terribile lamento dei prigionieri che, qui, hanno perso la vita? Secondo quanto si tramanda, più che ai prigionieri, tutto questo sarebbe da attribuire ad un misterioso, diabolico animale, probabilmente una sorta di grezzo minotauro dagli occhi di bragia e dalle narici dilatate. O forse una specie di vitello che, secondo la leggenda, si troverebbe all’interno dei sotterranei a difesa del grande tesoro, andato perduto, della potente e terribile famiglia Rossi. Un bovino dagli occhi rossi che si farebbe sentire soltanto nelle notti di tempesta. E qui, aggiungiamo noi, è lecito sollevare un chiaro scetticismo dato che, quelle di tempesta, sono le notti in cui più facilmente si possono udire suoni e rumori di ogni genere: specie sui monti.
Fatto sta che, stando sempre alla leggenda, coloro che, nei secoli, si sarebbero avventurati alla ricerca dell’inestimabile tesoro, non sarebbero mai più tornati, dopo aver fatto i conti con questo mostruoso essere animato dalle forze del male. Forze del male che, del resto, animavano anche il suo padrone, Bertrando Rossi, figlio naturale di Pier Maria, terribile signore di Berceto che, nel 1496, venne maledetto dalla “strega di Bergotto”, tal Teresa Da Forno (che, tuttavia, secondo i più non era altro che una vittima dello stesso Bertrando). Maledizione che venne scatenata dopo che il potente signore di Berceto cercò di abusare della giovane Adelina, figlia di Alberto Fieschi. Tra l’altro Bertrando Rossi morì poi fra atroci dolori e terribili spasmi, dopo essere stato avvelenato per volere di Troilo, suo nipote ed erede. Nel giorno del decesso le forze del male avrebbero portato il loro “saluto” al diabolico Bertrando in modo tenebroso. Sopra al bosco di Bergotto, secondo quanto narra sempre la leggenda, su un’area molto vasta, si formò una incredibile moltitudine di enormi insetti neri, con ali di farfalloni, che, spostandosi in volo, visto il loro elevatissimo numero, arrivarono a “coprire” la luce del giorno ed a nascondere boschi e colli. La stessa cosa accadde sopra ai Fornelli, in direzione del monte Gravagna, quello su cui si trova la rocca, e poi lungo la Baganza, sino a Calestano. Una immagine terrificante, mai spiegata, che accompagnò il decesso di Bertrando Rossi. E sarebbero state proprio queste forze diaboliche a lasciare l’infuocato vitello, un essere quindi non di questo mondo, a custodire le ricchezze del nobile signore.
Si dice tra l’altro che, ormai molti anni fa, una notte quattro persone si avventurarono nei sotterranei, passando dall’imboccatura del pozzo, alla ricerca dello scomparso tesoro. Ma ad un tratto le luci delle loro lanterne si spensero ed intorno si udirono urla rabbiose ed inumane. Dei quattro non si trovò mai più traccia. Mentre c’è traccia, evidente, dell’antico pozzo, proprio nel bel mezzo degli scavi, a celare leggenda, storia e mistero.
FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE
T.Marcheselli – “Fantasmi e leggende dei castelli Parmensi”, Umberto Nicoli Editore.
G.Capacchi- “Castelli Parmigiani”, Silva Editore, 1997.
www.valtaro.it
www.mondimedievali.net
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