di Paolo Panni
Storia e leggenda, mistero e fede si fondono, in un
affascinante mix, fra le antiche mura della chiesa bussetana di Santa Maria
Annunziata. Complesso religioso, questo, edificato nel 1472 per disposizione
dei fratelli Gin Lodovico e Pallavicino Pallavicino, unitamente ad un ospedale
di cui per due secoli fece parte. Ospedale di cui, oggi, non resta di fatto
alcuna traccia.
Fra alterne vicende fu completata
nel 1518 e, in quel medesimo anno vi fu istituita una confraternita detta di
S.Maria o dei Battuti o Disciplinati – più tardi “del Confalone” – pio
sodalizio eretto da papa Leone X con breve 11 aprile 1518 e dotato da Sisto V
nel 1596 e da Paolo V nel 1607, di indulgenze. Oltre alla divulgazione del
culto mariano, la confraternita aveva il compito di amministrare i beni
dell’ospedale, prendendosi cura del miglior funzionamento dell’Ente, di
distribuire elemosine e di sostenere economicamente nubende povere.
La chiesa, nel XVII secolo smise
di far parte dell’ospedale, che fu trasferito nella nuova sede, nel centro
cittadino. Fu quindi ampliata nel 1595 per iniziativa e a spese del
giureconsulto Pietro Pettorelli e ricostruita ex novo nel 1804 dalla
confraternita che l’aveva in uso, su progetto del bussetano Giuseppe Cavalli che
si occupò anche delle decorazioni a stucco.
Al suo interno conserva diverse
opere d’arte, su tutte la pala dell’altare maggiore, l’ “Annunciazione” di
Vincenzo Campi. In questo dipinto tutta la scena si svolge all’aperto, presso
una colonna in parte coperta da una tenda accanto alla quale si trova
l’inginocchiatoio di Maria, su cui sono posati un libro e un vaso di fiori. La
Vergine panneggiata in veste rosa e manto bianco, riceve l’annuncio da un
angelo, che le sta di fronte genuflesso con un giglio in mano e l’indice teso
verso l’alto. Inoltre, sul capo della Vergine stessa aleggia la Colomba,
simbolo di pace, mentre più sopra appare l’Eterno benedicente tra una gloria di
cherubini. Le figure compaiono immerse in una calma sovrumana in cui è tutta
l’augusta solennità dell’avvenimento. L’opera reca sul fondo il nome
dell’autore, Vincenzo Campi appunto, e la data 1581.
Nella chiesa, luogo in cui, il 31
gennaio 1805, si unirono in matrimonio Carlo Verdi e Luigia Uttini, i genitori
del sommo musicista e compositore Giuseppe Verdi, si trovano anche opere
pittoriche del bussetano Pietro Balestra. Una rappresenta l’Apparizione di
Cristo alla Maddalena, che giace genuflessa ai piedi di Gesù, il quale, presso
il sepolcro scoperchiato e vuoto custodito da angeli, appare nelle vesti del
giardiniere, con la vanga tra le mani e il capo aureolato e circondato di
cherubi. Un’altra raffigura invece le Marie al sepolcro: sono in tutto quattro
e incedono da sinistra verso il sepolcro, un sarcofago scoperchiato e vuoto
posto all’ingresso di una grotta, cui fa da custode un angelo. Lo sfondo è di
paesaggio; adagiata a terra, immersa in meditazione, giace la Maddalena.
Ma ad impressionare è,
soprattutto, ai piedi dell’altare maggiore, il simulacro del Cristo Morto. In
tutto e per tutto simile a una figura umana, anche al tatto, visto che il
materiale con cui è realizzato, il cuoio, che al tatto, sulle prime, può
appunto far pensare ad un essere umano autentico. Quello che lo riguarda potrebbe
essere definito un giallo storico. Una vicenda in cui, più che mai, storia e
leggenda si fondono. Si dice che a farlo arrivare sulla sponda emiliana fu, nel
XV secolo, una piena del Po. Il fiume impetuoso, stando sempre alle narrazioni
che da tempo vengono tenute vive dalla memoria popolare, distrusse una chiesa
cremonese, portandosi via, quindi, anche questa statua del Cristo Morto.
La
“corsa” sulle acque finì a Vidalenzo di Polesine, sulle rive del fiume
naturalmente. Immediatamente la gente locale lo scambiò per un cadavere
autentico. Una volta avvicinato ecco che la verità si materializzò: quello che
era davanti a tutti era un simulacro, integro, del Salvatore rappresentato dopo
la crocifissione. Subito divampò una diatriba, tra le opposte rive del Po,
circa il luogo in cui il misterioso Cristo doveva essere portato. A dirimerla,
stando sempre ai racconti che si tramandano, sarebbe stato un frate che
consigliò di adagiare la statua su un carro trainato dai buoi. Dove questi si
sarebbero fermati si sarebbe quindi dovuto costruire un luogo di culto. Se ciò
fosse vero significherebbe, quindi, che i buoi, dopo aver compiuto una manciata
di chilometri,si fermarono a Busseto, dove ora sorge la chiesa di Santa Maria
Annunziata.
Impressionanti sono anche i capelli e la barba del Cristo. Si
tratta infatti di autentica capigliatura umana: quella che una donna donò, per
grazia ricevuta, al Cristo stesso.
La statua, alla quale i fedeli di
Busseto sono estremamente legati e devoti, viene portata in processione, ogni
anno, la sera del Venerdì Santo ed è anche al centro di un’altra storia ricca
di fascino e mistero. Si dice infatti che, ormai molti anni fa, proprio dopo
una processione del Venerdì Santo, fu lasciata in chiesa collegiata, la
principale chiesa cittadina, senza essere riportata nella sua collocazione
originaria. Il mattino seguente, l’incredibile sorpresa: il Cristo, infatti,
non si trovava più in collegiata. Subito si pensò ad un furto e invece, poco
dopo, fu ritrovato, di nuovo in Santa Maria Annunziata. Come ci arrivò se
entrambe le chiese (collegiata e S.Maria) erano chiuse e non presentavano alcun
segno di effrazione? In tanti, da allora, ritengono che, prodigiosamente si sia
spostato, nel bel mezzo della notte, da una chiesa all’altra e che quindi voglia
rimanere nell’edificio in cui da secoli è posto.
Da evidenziare che, per la storica
processione del Venerdì Santo, il maestro Giuseppe Verdi compose quattro
“Notturni”: andati tutti persi. Dove si trovano? Sono andati persi per sempre o
si trovano ancora celati in qualche “angolo” di Busseto e dintorni?
Interrogativi che aumentano i misteri che accompagnano la storia di questo
luogo.
Nello stesso edificio colpisce
inoltre un altro particolare, vale a dire la presenza, in una delle cappelle
laterali, di un reliquiario al cui interno si trova un teschio. E’ quello di
Papa Clemente I: il quarto sommo pontefice della Chiesa cattolica (dopo Pietro,
Lino e Anacleto), il primo di cui si hanno notizie certe e anche il primo dei
Padri Apostolici. Fu Pontefice dall’88 al 97 ed è venerato, sia dalla chiesa
cattolica che da quella ortodossa, come santo. Delle sue opere si conoscono uno
scritto autentico, la Lettera alla Chiesa di Corinto e parecchi scritti, di
dubbia attribuzione. La lettera da lui indirizzata ai Corinzi per ristabilire
la concordia degli animi è considerata come uno dei più antichi documenti
dell'esercizio del primato. Lo scritto testimonia il Canone dei libri ispirati
e dà preziose notizie sulla liturgia e sulla gerarchia ecclesiastica. Accenna
anche alla gloriosa morte degli apostoli Pietro e Paolo e dei protomartiri
romani nella persecuzione di Nerone.
E’ patrono della città di Velletri
e compatrono della diocesi di Velletri-Segni, insieme a San Bruno Vescovo.
Secondo Tertulliano, che scriveva
intorno al 199, la Chiesa romana sosteneva che Clemente fosse stato ordinato da
San Pietro (De Praescriptione, XXXII), mentre San Girolamo affermava che alla
sua epoca la maggior parte dei latini era certa che questo Papa fosse
l’immediato successore dell’Apostolo Pietro (De viris illustri bus, XV). Lo
stesso San Girolamo sostenne questa tesi anche in molte altre opere e gli
antichi documenti mostrano comunque profonda incertezza nella sua collocazione
temporale. Della
vita e morte di Clemente non si conosce nulla. Gli Atti, apocrifi in lingua
greca, del suo martirio furono stampati nel Patres
Apostolici del 1724, basato sugli studi
di Jean Baptiste Cotelier. Questi, ricchi di
narrazioni ampiamente leggendarie, riferiscono di come convertì Teodora, moglie
di Sisinnio, un cortigiano di Nerva e
(dopo alcuni presunti "miracoli") Sisinnio stesso e altre 423 persone
di un certo rango. Traiano bandì il papa in Crimea dove, secondo la leggenda
miracolistica, avrebbe dissetato 2000 persone. Molte persone di quel paese si
convertirono ed edificarono 75 chiese. Traiano, per tutta risposta, ordinò che
Clemente fosse gettato in mare con un'ancora di ferro al collo. Dopo questi
avvenimenti, ogni anno, il mare recedeva di due miglia, fino a rivelare un
sacrario costruito "miracolosamente" che conteneva le ossa del
martire e permetteva ai fedeli di recarvisi. Questa leggenda non è antecedente
al IV secolo ed era sicuramente conosciuta da Gregorio di Tours nel VI. Intorno all'868 san Cirillo, che si trovava in Crimea per evangelizzare i popoli slavi,
rinvenne in un tumulo (non in una tomba subacquea) delle ossa ed un'ancora.
Immediatamente si credette che queste fossero le reliquie di Clemente.
Trasportate a Roma da Cirillo, furono deposte da papa Adriano II,
insieme a quelle di Ignazio di Antiochia, sotto l'altare maggiore della basilica inferiore di San Clemente.
La storia di questa traslazione è piuttosto verosimile, ma non sembrano esserci
tradizioni riguardo al tumulo, che fu trovato semplicemente perché poteva
essere un probabile luogo di sepoltura. L'ancora sembra essere l'unica prova
della sua identità, ma non si è in grado di stabilire se veramente era insieme
a quelle ossa. Clemente venne menzionato per la prima volta come martire da Tirannio Rufino (circa 400). Papa Zosimo,
in una lettera del 417 ai vescovi africani, riferiva del
processo e della parziale assoluzione dell'eretico Celestio svoltisi nella basilica di San
Clemente; il papa scelse questa chiesa perché Clemente aveva appreso la fede da Pietro in persona, ed aveva dato la vita per
lui. Venne annoverato tra i martiri anche dallo scrittore noto comePraedestinatus (circa 430) e dal Sinodo di Vaison del 442. Critici moderni
ritengono possibile che il suo martirio fosse stato suggerito da una confusione
con il suo omonimo, il console martirizzato. Comunque, non essendoci tradizioni
di una sua sepoltura a Roma, si suppone che sia morto in esilio per cause naturali.
Ignote le cause per cui il teschio
di Papa Clemente I si trova a Busseto. Tuttavia è noto che, in passato, vi fu
una vera e propria “compravendita” di reliquie fra chiese, conventi e
confraternite. Il che lascia supporre che, nell’ambito di quel movimento di
oggetti sacri e resti di santi, quella reliquia finì nella terra di Verdi dove
è tuttora gelosamente conservata.
FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE
M.Porcari, “Storie di una terra
antica – Leggende e curiosità del Parmense”.
D.Soresina, “Enciclopedia
Diocesana Fidentina”, Vol.III, “Le parrocchia, i parroci, le chiese”, Arte
Grafica Fidenza, 1979.
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