di Paolo Panni
Ricorre in questi giorni il 70esimo anniversario del naufragio del piroscafo Oria. Una delle sciagure più grandi di tutti i tempi, ma di fatto anche la “tomba dimenticata” di più di 4mila soldati italiani. Si tratta, infatti, di una sciagura poco conosciuta, nonostante le sue incredibili e pesanti conseguenze. Tra i soldati italiani che persero drammaticamente la vita in quel maledetto 12 febbraio 1944 c’erano anche diversi emiliani:
Ettore Bacci |
Iago Sgarbi |
Leopoldo Mori |
Ettore Bacci, nato il 26 aprile 1922 a Castel San Giovanni (Piacenza); Leopoldo Mori, nato il 26 maggio 1920 a Cortemaggiore (Piacenza) e a lungo residente e Sorbolo (Parma); Aldo Rainieri, nato a San Secondo Parmense (e per anni residente a Fontanelle di Roccabianca) il 20 luglio 1914; Roberto Reverberi, nato il 5 novembre 1916 a Montecchio Emilia (Reggio Emilia) e Iago Sgarbi, nato il 7 luglio 1914 a Rolo (Reggio Emilia). Ma di tante altre vittime di quella tragedia non si conoscono, ad oggi, nomi e cognomi.
E questo è il mistero maggiore, quello più inquietante. Ed anche più triste.
Emilia Misteriosa,con l’aiuto dei suoi lettori, e delle capacità quindi che può avere il web, spera di poter risalire anche agli altri soldati emiliani che persero la vita in quella sciagura. Per questo facciamo appello alla collaborazione a all’attenzione di tutti.
Oggi ci soffermiamo sulla figura di Aldo Rainieri, nato a San Secondo Parmense (e per anni residente a Fontanelle di Roccabianca) il 20 luglio 1914. Di lui abbiamo potuto raccogliere le maggiori notizie.
Lasciò, all’età di 29 anni, la moglie Bruna Gotti e il figlio, Francesco, che non aveva ancora 10 anni. La vedova, scomparsa nel 1997 a Cantù, si è di fatto spenta senza mai conoscere il reale destino del marito. A maggior dimostrazione del fatto, dunque, di una tragedia di cui si è sempre parlato ben poco. Ancora oggi, sia nel cimitero di Fontanelle di Roccabianca (dove riposano il padre e i fratelli di Aldo Rainieri) su un muro si trova la lapide in cui Rainieri viene dato per disperso; stessa cosa a Cantù. Viene inoltre ricordato sul monumento ai caduti di Fontanelle, dove ha sempre vissuto e dove lavorava come meccanico. La verità sul suo destino, negli ultimi mesi, è emersa in tutta la sua drammaticità. La nave norvegese di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l'11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo si trovavano più di 4000 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla Rsi dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l'equipaggio norvegese.
Il giorno seguente, il 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l'isola di Patroklos. I soccorsi, fortemente ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare appena 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina.
L’Oria era stipata all’inverosimile, aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich. Su quella carretta del mare, che all’inizio della guerra faceva rotta col Nord Africa, come si ricorda anche sul sito piroscafooria.it e come riportano le memorie, gli italiani in divisa che dissero no a Hitler e Mussolini vennero trattati peggio degli ignavi danteschi nella palude dello Stige: non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefici della Convenzione di Ginevra e dell'assistenza della Croce Rossa. Allo stesso tempo, poi, il loro sacrificio fu ignorato per decenni anche in patria.
Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre i cadaveri di circa 250 naufraghi, trascinati sulla costa dal fortunale e sepolti in fosse comuni, furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. I resti di tutti gli altri sono ancora là sotto, in quella che può appunto essere denominata una <tomba dimenticata>. Tra loro c’è anche un altro parmense, il sorbolese Leopoldo Mori. La tragedia è stata ignorata per molti decenni. Questo nonostante si sapessero, per filo e per segno, come fossero andate le cose, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti. In questi mesi, Francesco Rainieri, figlio di Aldo, ha compiuto numerose ricerche e ha consegnato i risultati di quanto raccolto ai parenti che ancora vivono nella Bassa, specie nella zona di San Secondo, Fontanelle e Carzeto. Tra questi il dottor Enore Gotti, di San Secondo, stimatissimo ginecologo locale (ora in pensione), fratello di Bruna Gotti e, quindi, cognato di Aldo Rainieri. Commosso, il dottor Gotti, osserva e legge le documentazioni che sono ora in suo possesso. “Dal ministero della guerra – racconta il dottor Gotti – mia sorella ha sempre saputo Aldo era considerato disperso. Ha sempre vissuto con questa consapevolezza, senza mai sapere la verità. E forse – confida – è meglio così perché è morto in una maniera davvero agghiacciante. Bruna, che ha sempre sofferto molto la mancanza del marito, se lo avesse saputo, ci sarebbe stata malissimo”. Il dottor Gotti, ancora oggi, quando legge le pagine di cui è entrato in possesso, si commuove. Aldo Rainieri, aveva quattro fratelli (Pietro, Gino, Bruno ed Egidio) e tre sorelle (Gina, Nelda e Maria), tutti da tempo scomparsi. “Nessuno di loro – conferma il cognato – ha mai saputo nulla. Aldo, per tutti loro, è sempre stato un disperso di guerra”. E quanto gli si chiede del suo personale rapporto col cognato, il dottor Gotti ancora si emoziona. “Aldo – dice – mi voleva bene come se fossi stato suo figlio. Mi aveva comprato la bicicletta, cosa che non aveva fatto nemmeno per suo figlio Francesco che ha quattro anni in meno del sottoscritto. Inoltre quando seppe della mia volontà di andare avanti negli studi, sapendo che la mia famiglia non aveva la possibilità di sostenerli, mi aiutò direttamente. Era una persona di grande bontà e generosità – prosegue – un amante della musica lirica”. Nel 1943 fu richiamato alle armi e anche quello fu un triste scherzo del destino. “Infatti – racconta il dottor Gotti – aveva la possibilità di restare a casa, dal momento che era l’unico figlio che aiutava suo padre Vittorio. Ma i documenti che attestavano questo arrivarono in ritardo e così dovette partire. Lo fece con grande tristezza; ricordo molto bene il giorno in cui salì sulla corriera. Poco prima ci abbracciammo e quello fu il nostro ultimo contatto. Lui – evidenzia – ha sempre odiato la guerra, la vedeva come un male. Lui poi, che era così buono, non avrebbe mai fatto del male a nessuno. E oggi – conclude – quando penso al tipo di morte a cui è andato incontro penso all’atrocità della cosa>. Nel 2008 il Comune di San Secondo Parmense ha conferito al dottor Gotti il Premio San Secondo, benemerenza che si è meritato per il suo servizio prestato per molti anni alla gente della Bassa. “Da subito – ricorda – lo ho dedicato a mio cognato, Aldo Rainieri”.
Settant’anni dopo la tragedia del piroscafo Oria è stata commemorata in terra greca. Al chilometro 60 della strada statale Atene-Sunio di fronte all’isolotto di Patroklos, luogo dove avvenne il naufragio il 12 febbraio del 1944, è stato inaugurato il Monumento dedicato ai Caduti del piroscafo Oria.
I Caduti, va ribadito, erano tra coloro che non aderirono al nazismo e alla Repubblica Sociale Italiana dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e provenivamo dai campi di internamento di Rodi. Prigionieri, diretti verso i campi di concentramento in Germania, come tanti altri militari che subirono la stessa sorte.
Nel pomeriggio è stato inoltre presentato nel vicino comune di Keratea la traduzione in greco del libro monologo di Paolo Ciampi <La gavetta in fondo al mare>, ispirato alle gavette portate alla luce dai sub greci coordinati da Aristotelis Zervoudis che per primo ritrovò i resti del Piroscafo e riportò alla luce diverse gavette dei soldati su alcune delle quali era inciso <Mamma ritornerò>, attivandosi per ricercare i familiari dei Caduti. Il luogo del naufragio è considerato, secondo la convezione dell’Unesco, Sacrario del Mare, custode dei resti mortali di chi è ivi sepolto e riposa. Nei Sacrari del Mare presenti nei mari della Grecia riposano circa 15mila soldati italiani per affondamento di navi. Di molte di queste, ancora non sono stati ritrovati elenchi delle persone imbarcate, qualora esistenti.
EMILIA MISTERIOSA, SOPRATTUTTO CON L’AIUTO DELLA RETE E DEI SUOI LETTORI, SI AUGURA DI POTER DARE UN NOME E UN COGNOME AI TANTI CHE SI TROVANO IN QUELLE “TOMBE DIMENTICATE”
FONTI SITOGRAFICHE E FOTOGRAFICHE
Archivio privato Enore Gotti e Francesco Rainieri
www.piroscafooria.it
it.wikipedia.org
www.difesa.it.
SI RINGRAZIANO I SIGNORI FRANCESCO RAINIERI ED ENORE GOTTI PER LA PREZIOSA COLLABORAZIONE.
SI PREGA DI SEGNALARE EVENTUALI COPYRIGHT NEI TESTI E NELLE IMMAGINI AI FINI DI UNA LORO CANCELLAZIONE O MODIFICA
Nessun commento:
Posta un commento