20 dicembre 2015

Un pomeriggio “sensitivo” aspettando Santa Lucia


 di Giovanna Bragadini





Santa Lucia è una ricorrenza piena di ricordi (per gli adulti) e di magia (per i bimbi) molto amata in Emilia. Sabato 12 dicembre, in attesa del suo arrivo con il tradizionale asinello carico di doni, Gloriana Astolfi ha condotto un pomeriggio a tema “sensitività” nella suggestiva cornice dell’Azienda Agricola La Madonnina, a poca distanza dallo splendido castello di Torrechiara. Nella ex stalla trasformata in accogliente sala da pranzo, con tazze fumanti di tisane e tè a confortare gli animi, la sensitiva ha introdotto genericamente l’argomento e raccontato come ha scoperto le sue doti, entrando poi nei dettagli e descrivendo alcuni casi che si sono presentati durante le indagini svolte con Emilia Misteriosa. Il pubblico partecipe e attento ha – come sempre in questi casi – animato l’incontro con domande ed esperienze personali. Alla domanda “come possiamo migliorare le nostre percezioni?” Gloriana ha proposto un esercizio per allenare il terzo occhio, terminando infine con una meditazione. Dulcis in fundo, il pomeriggio si è concluso fra chiacchiere a ruota libera e gustosi assaggi di torte casalinghe.





17 dicembre 2015

ALLA SCOPERTA DEI MISTERI E DELLE LEGGENDE DI PIACENZA


 di Paolo Panni




“Piacenza Arcana – Passeggiando tra antichi misteri e le leggende cittadine. Alla scoperta della storia scomparsa sotto le strade della città”. Questo il titolo dell’evento che, sabato 12 dicembre, si è tenuto nel “cuore” di Piacenza. Una iniziativa sperimentale, lanciata grazie all’iniziativa congiunta della nostra associazione e dell’esperta guida turistica locale Erica De Ponti. Al suo primo appuntamento, questo “viaggio” tra i misteri cittadini ha riscosso un notevole successo, con venticinque persone presenti. Niente male per una visita guidata che si è tenuta a pochi giorni dal natale, di sabato, al suo primo appuntamento. Con grande professionalità e competenza, unite alla sua evidente passione per la storia del territorio, Erica De Ponti ha guidato tutti i presenti in un suggestivo viaggio che ha permesso, a tutti, di conoscere la storia e gli aspetti, se vogliamo, meno conosciuti, che si possono incontrare anche facendo una semplice passeggiata nel centro cittadino.




Di seguito riportiamo, in sintesi, l’intervento della stessa Erica De Ponti: un sunto di quanto realizzato sabato 12 dicembre:

“Cos’ e un mistero.? Non esiste una risposta che possa soddisfare tutti ma a me piace pensare che sia, molto semplicemente qualcosa di sconosciuto. Il motivo per cui un evento è sconosciuto dipende da tanti fattori.....ognuno valido e non trascurabile/usabile. In questa ottica insieme a Paolo Panni ho voluto creare un percorso per la città di Piacenza che potesse raccontare aspetti della città che per molteplici motivi si sono perduti o sono rimasti irrisolti. Siamo partiti da Piazza Cavalli, dalla chiesa di San Francesco. Oggi la chiesa mostra una bellissima facciata che per molto tempo era coperta da una dimora in stile veneziano....e ci è voluto molto per abbatterla. Tra le demolizioni nella stessa piazza , non possiamo tralasciare il terrazzo. E se invece passiamo a ciò che è stato costruito ....e ancora rimane abbiamo il Gotico dove di recente alcune persone hanno incontrato un parlamentare del regno unito, che dopo poco è sparito, inghiottito dall’entrata del palazzo. E che dire della statua equestre di Ranuccio I Farnese che domina insieme a quella del padre Alessandro la piazza dei cavalli? Il duca ha fatto condannare la sua amante Claudia Colla incolpandola di aver usato la stregoneria contro la sua prole. Ma se interessano i veri fantasmi bisogna andare in tribunale, ovvero laddove si dice che Giulia Landi, morta di parto, pare avesse continuato a visitare il consorte. Il mistero si annida anche tra le molte sculture e mosaici della chiesa di Sant’Eufemia e quella di San Savino che offrono dei momenti stupendi per parlare di bestiari ed alchimia. Una scacchiera sul presbiterio di san Savino mostra una figura di un giocatore nascosta. Solo la mano che muove le pedine tra il bianco simboli degli e il nero dei demoni secondo la antica tradizione indiana dove è nato il gioco degli scacchi..... E per finire :qual è la vera storia di Sant'Antonino? È vero che le ossa del primo vescovo San Vittore sono scomparse per lasciare il posto a quelle del nostro patrono? Ed è vero che SantAntonino è comparso in sogno a San Savino per indicare dove si trova il suo corpo? Tante domande e forse poche risposte ; del resto quando si parla di misteri certezze non possono esserci”. 
(Erica De Ponti)




La giornata si è conclusa con l’intervento di chi scrive questo articolo, sia per presentare attività e iniziative di Emilia Misteriosa che per illustrare, a tutti, un altro mistero che accompagna la storia della città, poco noto anche agli stessi piacentini. Vale a dire gli esorcismi avvenuti nel 1920 nella chiesa di Santa Maria di Campagna, che portarono addirittura alla morte di due persone: un laico e un religioso. Un evento drammatico ampiamente riportato, con un capitolo di ben 35 pagine, sul libro “L’ultimo esorcista. La mia battaglia contro Satana” (Pickwick edizioni) di Padre Gabriele Amorth (con Paolo Rodari), dato alle stampe nel 2011. “A volte il diavolo ritorna, per uccidere”: questo il titolo, più che eloquente” del lungo ed interessante capitolo. Come sono eloquenti le righe finali dove il più famoso esorcista italiano, tra le altre cose, scrive: “Certo, a Piacenza il diavolo è tornato e ha fatto cose che non ho mai visto fare altre volte. E’ tornato per uccidere…” Parole molto forti, spaventose, che rendono ancora più misteriosa la storia di questa bella città che è Piacenza.





8 dicembre 2015

Thè, Dolci, Chiacchiere e un po' di ... Sensitività !



In attesa di Santa Lucia trascorreremo sabato 12 dicembre con le prelibatezze dell'agriturismo La Madonnina, nella splendida cornice di Torrechiara, e con tante intriganti chiacchiere insieme a Gloriana Astolfi. Da segnare sul calendario!

3 dicembre 2015

Sabato 12 Dicembre - Piacenza Arcana



Fondata nel lontano 218 a.C. con la denominazione di Placentia, fu la prima colonia romana nell'Italia settentrionale, insieme a Cremona, come importante avamposto militare contro Annibale che muoveva dalla Spagna per giungere in Italia e portarvi devastazione conquistando i territori del Ticino e della Trebbia. Da allora di secoli ne sono passati e Piacenza è oggi la bella città tra Emilia e Lombardia che tutti conosciamo. Una città dove arcani e leggende, storia ed enigmi si fondono rendendola una delle città più misteriose del Nord Italia. Sarà possibile saperne di più sabato 12 dicembre (ore 14.30 con partenza da Piazza Cavalli - Piacenza) in occasione dell’evento “Piacenza Arcana – Passeggiando tra antichi misteri e leggende cittadine. Alla scoperta della storia scomparsa sotto le strade della città”. Una speciale e interessante visita che sarà tenuta da Erica De Ponti, esperta guida turistica di Piacenza, con la collaborazione di Paolo Panni dell’associazione Emilia Misteriosa e collaboratore della rivista “Mistero”. Per partecipare è necessaria la prenotazione al numero 3332396141 o scrivendo a ericadeponti@libero.it.

15 ottobre 2015

DOPPIA INDAGINE ALL'INTERNO DELLA ROCCA DEI ROSSI DI SAN SECONDO PARMENSE




Per la prima volta nella sua ultrasecolare storia, la monumentale Rocca dei Rossi di San Secondo Parmense è stata al centro di una doppia indagine compiuta, in esclusiva, dalla nostra associazione. La prima condotta “a porte chiuse”, vale a dire con la sola presenza di tecnici, sensitivi e collaboratori del nostro gruppo. La seconda, invece, aperta al pubblico: caratterizzata, per altro, da una larga partecipazione di persone.

Se tutto questo è stato possibile va innanzitutto espresso il ringraziamento all’Amministrazione comunale di San Secondo Parmense, e all’assessore Ketty Pellegrini, coi quali sono stati stipulati gli accordi necessari. 



Va anche aggiunto che entrambe le indagini sono state ostacolate dalla concomitante presenza di eventi esterni (che si sono svolti nelle immediate vicinanze del maniero): questo ha reso ancora più complesso il lavoro di tecnici e sensitivi. Ma alla fine, nonostante le difficoltà, tutto è stato realizzato utilizzando le tecniche già consolidate e più volte utilizzate dalla nostra associazione. Tecniche che si riassumono, molto brevemente, nel lavoro “incrociato” di tutte le persone coinvolte: tecnici e sensitivi, appunto.

Un lavoro, quello realizzato, che ha per altro permesso di ottenere alcuni risultati interessanti. Risultati che, in linea con la prudenza sempre utilizzata dalla nostra associazione, sono tuttora al centro di approfondimenti ed accertamenti. Si conta inoltre di tornare prossimamente nella stessa Rocca per ulteriori e più sofisticate verifiche. 

Pochi ma doverosi cenni, ora, sulla grande storia del maniero. 


La Rocca dei Rossi di San Secondo Parmense, prima fortezza medievale poi sfarzosa residenza rinascimentale, fu abitata da una delle famiglie più illustri del Parmense: quella dei Rossi. 
Al suo interno si trova superba la Sala delle Gesta Rossiane; suggestivo e unico il racconto, in 17 riquadri, dell'"Asino d'Oro" di Apuleio.

La Rocca custodisce interventi artistici di allievi di Giulio Romano, Baglione, Samacchini, Bertoja, Procaccini, Paganino. Interventi artistici, i loro, che equiparano la sontuosità della Rocca alle corti medicee e gonzaghesche, strettamente legate al casato di San Secondo. L'imponente apparato di affreschi è ancora oggi perfettamente conservato.

Passando alla doppia indagine realizzata va subito evidenziato che, in occasione della serata aperta al pubblico, ci sono stati ospiti che durante il percorso tra le sale del maniero hanno riferito di aver avvertito sensazioni e “sentito” possibili presenze. In un caso in particolare uno degli oggetti posizionati sul pavimento, come hanno potuto notare i presenti, ha avuto un leggero movimento, che al momento non trova alcuna giustificazione plausibile. 

Ecco, invece, di seguito, le testimonianze dei soci di Emilia Misteriosa presenti alle due serate.

ALESSANDRO APPIANI: 
Ho preso parte solo alla seconda indagine, quella aperta al pubblico. 
Ottima la partecipazione e il coinvolgimento dei presenti.
Durante la serata diverse persone hanno provato sensazioni particolari e una di loro addirittura ha avuto una presunta interazione.
Gli strumenti e il materiale raccolto dal nostro gruppo non hanno evidenziato nessuna irregolarità degna di nota.
E' in fase di studio una registrazione audio realizzata da un signore presente alla serata che ci ha gentilmente concesso l'uso e l'analisi del file.
Vi terreno aggiornati sui risultati dei controlli effettuati sulla registrazione.


GLORIANA ASTOLFI (sensitiva):
Da subito la Rocca di S. Secondo l'ho percepita "abitata" : è una sensazione istantanea che arriva come ne varchi la soglia. Presenze in più punti, sia nel cortile esterno che in alcune stanze e sempre l'impressione di essere osservata. Aromi di cere al miele ( abbiamo verificato con le guide che non erano state accese candele da tempo e comunque non al miele), una porta trovata aperta, quando tutto il gruppo era certo fosse stata richiusa. Una stanza dove regnava una pesante sensazione di angoscia proveniente da una "presenza "femminile con la quale ho avuto un contatto e un " dialogo". Un'altra stanza " abitata" da un bambino con accanto antichi giochi. E altre " presenze"ancora, maschili e femminili, alcuni con storie da raccontare. Purtroppo l'indagine e' stata disturbata dai suoni provenienti dal luna park vicino. ( ma questo, se credete, lo possiamo omettere). Luogo estremamente interessante per un sensitivo. Rimane il desiderio di ritornare per conoscere e approfondire ulteriormente


GIOVANNA BRAGADINI (sensitiviva):

Nonostante le interferenze esterne di cui parlava Paolo entrambe le serate si sono rivelate molto interessanti, e con buona partecipazione del pubblico. Durante le visite guidate è stata rilevata una registrazione molto interessante, attualmente al vaglio dei tecnici


PAOLO PANNI:
Il mio compito è stato quello di realizzare immagini video e fotografiche. Personalmente, in occasione dell’indagine a “porte chiuse”, posso affermare di aver apparentemente notato, in una delle sale, un’ombra impercettibile, di colore nerastro, muoversi rapidamente verso l’uscita. Fatto, questo, di cui ho immediatamente parlato coi presenti. La cosa più incredibile tuttavia si è verificata un’oretta più tardi, in un’altra sala all’interno della quale, utilizzando una semplice fotocamera reflex digitale (senza l’uso di infrarossi o ultravioletti) ho realizzato una fotografia nella quale sembrava di scorgere una figura diafana. Fotografia, questa, che ho subito sottoposto all’attenzione dei presenti riscontrando, in loro, un’evidente sorpresa. Ci si è quindi ripromessi di osservare meglio, l’immagine, una volta scaricata sul computer. Tuttavia, con mia grande sorpresa, una volta giunto a casa, nella scheda di memoria della fotocamera, non era più presente alcuna immagine realizzata in quella sala. Il sottoscritto ha all’attivo migliaia e migliaia di foto realizzate e mai, prima d’ora, mi era capitato di assistere alla “scomparsa” di immagini dalla scheda di memoria. Da evidenziare, tra l’altro, che tutte le foto scattate quella notte nel resto del maniero, si sono perfettamente conservate. A tuttoggi non sono in grado di motivare il singolare accaduto sul quale sospendo ogni giudizio. 


Da evidenziare, infine, che alle due indagini compiute si deve anche aggiungere una conferenza che la nostra associazione ha tenuto nella sala delle ex scuderie della Rocca dei Rossi al fine di presentare le nostre attività ed i primissimi risultati dell’indagine “a porte chiuse”. Conferenza che ha visto la partecipazione di un buon numero di persone e gli interventi, tra gli altri, anche dell’assessore Ketty Pellegrini e dello storico locale Pier Luigi Poldi Allaj, esponente dell’associazione Corte dei Rossi e grande esperto e studioso della rocca di San Secondo Parmense.





14 settembre 2015

“LEGGENDE DELLA VAL CENO”, IL NUOVO LIBRO DI GIUSEPPE CONTI A CURA DEL CENTRO STUDI VAL CENO


di Paolo Panni


Gnomi e folletti, spiriti e fantasmi, demoni e fate, miracoli e tesori nascosti: nella pubblicazione “Leggende della Val Ceno” uscita a luglio 2015 c’è tutto questo ed altro ancora. Il volume, edito dal Centro Studi Val Ceno, è frutto di un corposo lavoro di studi, ricerche e approfondimenti portati avanti da Giuseppe Conti, già sindaco di Bardi, stimato storico del suo territorio e, in più occasioni, prezioso collaboratore della nostra associazione.




Una sessantina di pagine, in tutto, e 41 leggende raccolte e messe nero su bianco, tramandate così ai posteri. Un lavoro importante, scrupoloso e attento; Conti ha saputo andare a “scavare” tra le memorie della gente, tra i racconti popolari, tra le storie raccontate dai ragazzi. Ne è nato così un volume che non è solo di leggende, ma anche di storia e di tradizioni, di enigmi e di antichi saperi, giunti sino a noi. Perché dietro ad ogni leggenda, quasi sempre, ci sono fatti realmente accaduti, più o meno spiegabili, nella gran parte dei casi avvolti dal mistero. Spesso ci sono storie di persone, di luoghi, ci sono le vicende della gente comune.





Il volume si apre con una delle leggende più popolari e diffuse dell’Appennino emiliano (e non solo): quella legata ai folletti che, secondo quanto si è tramandato, di notte facevano le trecce ai cavalli. Tra le più popolari spicca poi quella di Moroello e Soleste, i due innamorati che, da secoli, vagherebbero tra le mura della Fortezza di Bardi. Si parla di uno dei fantasmi più “popolari” del Parmense: quello di Bernardino Pallavicino che si aggirerebbe, ancora oggi, nel “suo” castello di Varano Melegari. Ci sono poi i miracoli della Devota della “Costa”, vale a dire Margherita Carlotti degli Antoniazzi (e qui si attinge a piene mani nella storia di una donna ancora oggi assai venerata a Bardi e dintorni). Non mancano le leggende legate al diavolo e quella celebre legata ai due fiumi “fratelli”, il Taro e il Ceno. Tra le più note anche quella del Lago di Varsi (dove sarebbe sprofondato nientemeno che un convento) a cui se ne aggiungono tante altre, diverse delle quali del tutto inedite. Raccolte in larga parte dall’autore che ha anche attinto, a piene mani, alle ricerche degli alunni della scuola elementare e media di Bardi e di Varsi. Altre derivano da testi di poeti, scrittori, giornalisti e studiosi, tutti indicati nella bibliografia.


Il “quaderno”, come indica nella prefazione anche Andrea Pontremoli, presidente del Centro Studi Val Ceno, si inserisce nel filone della cultura popolare locale, così importante nello sviluppo della comunità della Val Ceno. E vede scritte storie che, per tanto tempo, si sono tramandate solo per via orale, dai nonni ai nipoti e ai pronipoti. Storie che, nell’era di internet, del digitale e del virtuale, rischiavano di andare perse. Giuseppe Conti, con un’opera meritoria, mantenendo viva una memoria che è prima di tutto storia, ha saputo tutelare e valorizzare un patrimonio di grande valore. Non a caso, ancora Andrea Pontremoli richiama a “cominciare a scrivere” per evitare che tanta storia rischi di andare irrimediabilmente persa. “Sono convinto – conclude nella prefazione – che in un futuro sempre più veloce ed anonimo chi saprà fermarsi a riflettere da dove viene e dove sta andando sarà vincente. Spero che questo piccolo contributo del Centro Studi Val Ceno alla scoperta della nostra cultura ci possa aiutare a capire come indirizzare il nostro sviluppo sia come persone che come Comunità”. Un contributo tutt’altro che piccolo, aggiungiamo noi, perché quando si fa memoria della nostra storia, la si valorizza e la si tutela non si possono che fare passi avanti creando migliori condizioni di vita. Nella fattispecie del “quaderno” di Giuseppe Conti si dà lustro alla storia, ai misteri e alle leggende di una terra ricchissima di fascino, di vicende spesso avvolte dall’ignoto e dall’inspiegabile. Una terra che, come si è già scritto altrove, è forse tra la più misteriose d’Italia.

1 luglio 2015

Sabato 4 Luglio 2015 "Una Notte da Brividi" con Emilia Misteriosa





Per la prima volta nella sua ultrasecolare storia, la splendida Rocca dei Rossi di San Secondo Parmense, apre le sue porte a una indagine paranormale. Questo grazie all’accordo raggiunto tra l’associazione Emilia Misteriosa e l’Amministrazione Comunale (proprietaria dello storico edificio, simbolo del paese).

Il 20 Giugno scorso, tecnici, sensitivi e collaboratori di Emilia Misteriosa hanno effettuato una indagine all’interno di quella che fu, prima, una poderosa fortezza medievale e poi una sfarzosa residenza rinascimentale, che per molto tempo ha ospitato una delle famiglie più illustri del Parmense, quella dei Rossi. Gli interventi artistici di allievi di Giulio Romano, del Baglione, del Samacchini, del Bertoja, del Procaccini, del Paganino equiparano la sontuosità della Rocca alle corti medicee e gonzaghesche, strettamente legate al casato di San Secondo. All'interno della Rocca superba è la Sala delle Gesta Rossiane; suggestivo ed unico il racconto, in 17 riquadri, dell'Asino d'Oro; emozionanti gli allegorici modelli mitologici e fabulistici, questi ultimi sottolineati da pertinenti aforismi. L'imponente apparato di affreschi è ancora oggi perfettamente conservato. 


Non mancano i misteri ed i fatti di sangue accaduti al suo interno. Ne parleremo con il pubblico sabato 4 luglio, durante una serata nel corso della quale, oltre a presentare risultati e caratteristiche dell’indagine, condurremo gli ospiti alla scoperta del grande maniero, della sua storia e dei suoi misteri, nella magica atmosfera della notte. L’iniziativa sarà inserita nella Fiera di luglio e quindi, per gli ospiti stessi, sarà anche l’occasione per andare alla scoperta del borgo, dei suoi tesori e delle sue peculiarità.

Si coglie fin da ora l’occasione per ringraziare l’Amministrazione Comunale di San Secondo, nelle persone in particolare del signor sindaco Antonio Dodi e degli assessori Ketty Pellegrini e Andrea Denti, per la disponibilità e la collaborazione dimostrata.

23 giugno 2015

AVVISTAMENTO NOTTURNO, NEL CIELO DI FIDENZA, A POCHE ORE DAL SOLSTIZIO D’ESTATE

di Paolo Panni





Che cosa ha attraversato e illuminato il cielo di Fidenza nella sera tra giovedì 18 e venerdì 19 giugno? E’ quello che si chiede un bussetano, protagonista e testimone del curioso e singolare avvistamento.

Poche, doverose premesse: Emilia Misteriosa, secondo lo stile che da sempre la caratterizza, si limita a documentare e ad approfondire l’accaduto, lasciando chiaramente in sospeso ogni giudizio. Rispettando inoltre la chiara volontà di chi ci ha fornito testimonianza e immagini, non si fornisce alcuna generalità sulla persona in questione. Ci si limita a precisare che si tratta di un bussetano, da sempre appassionato sia di astronomia che di possibili avvistamenti di oggetti volanti non identificati. Passioni che lo animano sin dall’infanzia e attorno alle quali, da sempre, si documenta sia leggendo libri che ricavando notizie sui siti web, specie chiaramente quelli che si occupano di ufologia. Persona, va precisato, a noi conosciuta e fidata. Non un “profano” di avvistamenti misteriosi, ma uomo che parla con cognizione di causa ed una certa, evidente, esperienza. 


Passando agli accadimenti, da lui descritti durante un incontro avvenuto appositamente in zona, lasciamo a lui la parola: 

“Mi trovavo sulla tangenziale di Fidenza – esordisce – in direzione Parma, nella zona immediatamente adiacente il cimitero di Fidenza e lo Stirone. Sono abituato, proprio per la passione che mi caratterizza, ad osservare il cielo. Ad un tratto, tra due grossi pali dell’energia elettrica, alti e vicini tra loro, ad una distanza longitudinale di circa un centinaio di metri, in direzione Castione Marchesi, ho visto questo strano oggetto, fermo, ad un altezza approssimativa di circa 300-400 metri, completamente fermo. Sui vari siti di ufologia ho sempre letto di evitare di fare foto o filmati stando in auto col finestrino in mezzo, al fine di evitare riflessi o altre cose. Sono riuscito a fermare e a posteggiare l’auto – prosegue – e sono sceso. L’oggetto era ancora fermo e con il mio iphone ho avuto il tempo di scattare due foto ed un video. E’ rimasto fermo circa 30 o 40 secondi, poi ad un tratto si è mosso transitandomi orizzontalmente di fronte agli occhi, per poi deviare e in pochissimi istanti è sparito nel nulla, dirigendosi verso Castione Marchesi. Diverse auto – aggiunge – che transitando mi hanno visto fermo, a lato della strada, intendo ad osservare quanto stava accadendo, hanno rallentato. Deduco quindi che vi siano anche altri testimoni”. 

Lui in quel momento era da solo ed era semplicemente diretto a prendere il figlio. Il tutto, come si desume anche dalla “memoria” del cellulare è accaduto a mezzanotte in punto.



Chiedendogli quindi qualche informazione maggiore e particolareggiata su quanto ha avuto modo di vedere, ha riferito che l’oggetto poteva avere dimensioni approssimative di circa 10-15 metri di diametro ed i colori erano il rosso e l’arancione. Curiosa poi, come si può osservare anche da una delle immagini, la forma esagonale dello stesso. Parlando quindi delle emozioni provate ha detto: 

“A me è venuta la pelle d’oca. Inizialmente ero molto agitato, ma non ho mai avuto alcuna paura. Anzi ero attratto da quanto stavo osservando e mi sono chiaramente fermato apposta per poter osservare meglio. Anzi ammetto che mi sarebbe piaciuto avere un contatto”


Lui si dice convinto del fatto che quello che ha avvistato sia un cosiddetto ufo. Lo afferma ribadendo che 

“Se non avessi le prove delle immagini non parlerei a nessuno di quanto ho avuto modo di vedere. Direi che le immagini invece sono molto evidenti. Io stesso ho provato a documentarmi sul web, andando su diversi siti, per cercare una spiegazioni tecnica o comunque razionale. Ho osservato, per esempio, i palloni sonda, le lanterne cinesi, ecc. ma non ho trovato nulla che potesse anche vagamente somigliare a ciò che ho visto io e che tutti potete vedere nelle immagini. Giunto a casa – aggiunge – ho mostrato le foto e il video a mia moglie, che su queste cose è molto scettica. Lei stessa è rimasta molto colpita e, con lei, anche nostro figlio”.

Figlio, col quale, ormai non pochi anni fa, è stato al centro di un altro singolare fatto, avvenuto a Castione Marchesi di Fidenza. 

“In quell’occasione – racconta – di sera vedemmo un’ombra, con alcune lucine, passarci sopra. Ricordo che era il mese di febbraio. Volava a bassissima quota e, a nostro avviso, si trattò di un drone militare”.


Tornando a quanto accaduto, invece, la sera tra il 18 e il 19 giugno a Fidenza, precisando che è stato lui stesso a contattare il nostro gruppo, ha riferito di aver letto un nostro servizio su un altro analogo avvistamento accaduto in estate, tre anni fa, a Castione Marchesi. 

“Un fatto – dichiara – abbastanza simile a quello accaduto a me”. 

Ci sono poi stati, aggiungiamo noi, altri avvistamenti di luci in cielo in tutta la zona compresa, in particolare, tra Roncole Verdi, Castione Marchesi, Sant’Andrea di Busseto, Busseto e Fidenza. Avvistamenti che, specie in questi ultimi anni, sembrano essersi intensificati. 

“Direi – ha commentato il nostro testimone – che si tratta di una zona molto ricca di avvistamenti particolari, e che si susseguono da tempo. Anni fa, per esempio, avevo notato una luce molto forte, accecante, nella zona di Sant’Andrea”.

Durante l’incontro, una persona presente, dopo aver sentito ciò di cui si stava parlando, ha quindi deciso di riferire, a proposito di fenomeni del passato, un altro accadimento avvenuto ormai alcuni decenni fa. 

Era il 1963 o forse il 1964 – racconta questo ulteriore testimone – io ero bambino e vivevo nella zona di Castione Marchesi. All’altezza della località Case Nuove, dove ancora oggi si trova una cappella mariana, in un fondo agricolo finì un piccolo oggetto a forma di paracadute al quale era fissato un oggetto: non ho mai saputo che cosa. L’affittuario del fondo chiamò i carabinieri che accorsero sul posto insieme ad altre persone. Non so chi fossero queste ultime né cosa rappresentassero, ma erano sicuramnente delle autorità. Giunti sul posto presero quel piccolo paracadute, e l’oggetto che portava, portandosi via il tutto. Da allora – fa notare – non si è mai più saputo nulla di quel fatto e nessuno ci ha mai saputo fornire né notizie né tantomeno spiegazioni”. 

Un altro evento singolare, dunque, nella medesima area di campagna che sembra essere al centro, con una certa frequenza, di strani fenomeni e avvistamenti. Naturalmente, e lo ribadiamo, Emilia Misteriosa non esprime alcun tipo di giudizio, limitandosi ad evidenziare ed a documentare, però, quanto accaduto.


SI RINGRAZIANO LE PERSONE INTERESSATE PER LE FONDAMENTALI TESTIMONIANZE E PER LE IMMAGINI FORNITE. LE STESSE POSSONO ESSERE UTILIZZATE SOLO PREVIO ACCORDO CON LA NOSTRA ASSOCIAZIONE.

IN MERITO AL VIDEO SI PRECISA CHE IL RUMORE DI SOTTOFONDO E’ QUELLO PRODOTTO DALL’AUTO IN SOSTA. L’OGGETTO VOLANTE, SECONDO QUANTO RIFERITO DAL TESTIMONE, NON PRESENTAVA ALCUN TIPO DI RUMORE
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17 giugno 2015

A POLESINE PARMENSE, ALLA SCOPERTA DEL PAESE PERDUTO, DIVORATO DAL PO


di Paolo Panni




In questo servizio, ed è forse la prima volta, non vi parliamo di qualche “mistero” inteso nel vero senso del termine. Non ci sono né leggende né strani avvistamenti, non si parla di spiriti o entità né di anomalie particolari. Tuttavia nel vasto e magico mondo dei misteri riteniamo possano rientrare anche i luoghi perduti, sconosciuti o insoliti e, per questo, a modo loro “misteriosi”. Ecco quindi questo reportage alla scoperta del paese perduto, “divorato” dalle acque del Grande fiume. Per riscoprire e “rileggere” pagine di storia, per conoscere il passato delle terre del Po e dei Pallavicino, nel ricordo del professor Carlo Soliani, grande storico di Zibello, scomparso da alcuni anni, che allo studio della storia locale ha dedicato la sua intera esistenza lasciando pagine memorabili attraverso la serie di volumi dal titolo “Nelle Terre dei Pallavicino”. 

Andare alla scoperta della remota Polesine, quella che veniva chiamata Polesine di San Vito, ora si può. Grazie all’iniziativa di Stefano Barborini, esperto navigatore del fiume, fondatore e gestore del portale fiumepo.eu nonché membro del direttivo del circolo “Aironi del Po” di Legambiente. Dopo aver accompagnato una ventina di scolaresche del Parmense attraverso l’iniziativa “Scivolando lentamente lungo la corrente del Po” (patrocinata dalla Regione), ecco che per l’estate 2015 entra “nel vivo” questa nuova iniziativa in campo turistico e culturale, appoggiata dal Comune di Polesine Parmense. Per presentare il progetto, che prevede itinerari in barca nei giorni domenicali e festivi (oppure infrasettimanali previo accordo) si è tenuto un primo viaggio in barca, al paese perduto, alla presenza del sindaco Sabrina Fedeli, dello storico Gianandrea Allegri, dello chef Massimo Spigaroli (studioso e appassionato cultore di storia locale) e di Massimo Gibertoni, del circolo “Aironi del Po”. 

Un itinerario aperto anche ad Emilia Misteriosa per presentare, ai lettori, questa “chicca” del nostro territorio, un pezzo di storia “custodito” dal Grande fiume, dove le pietre e i mattoni “parlano”, narrando la storia di un popolo, dei nostri antenati. Storia che è stata illustrata, durante l’escursione, dal geometra Allegri, insigne studioso di storia locale, prezioso collaboratore per anni ed anni di attività del professor Carlo Soliani. Proprio al defunto professore ha dedicato le sue prime parole, emozionato come ogni volta che lo ricorda, ribadendo che la storia che si narra è quella contenuta nel terzo volume della collana “Nelle Terre dei Pallavicino” e la firma è appunto quella di Carlo Soliani. E’ giusto quindi far “parlare” chi la storia l’ha scritta e chi la riporta, Soliani e Allegri quindi. Ecco quindi, di seguito, quanto è stato reso noto:


"Il Po del periodo medievale era ben diverso da come lo vediamo oggi incassato almeno 4 o 5 m rispetto al piano di campagna. Allora scorreva, infatti, quasi in superficie vagando qua e la. Bastava che durante una delle frequenti piene un banco di sabbia ne ostruisse anche parzialmente l’alveo perché il fiume si spostasse, occupando terreni precedentemente coltivati o abitati. Ecco spiegato come nei primi secoli dello scorso millennio venissero eseguite delle cinte, cioè delle arginature, seppur modeste, a difesa degli abitati e dei circostanti terreni coltivati. Un sistema idrico al quale erano particolarmente interessati i Comuni delle città dalle quali i territori padani dipendevano, facendone curare agli abitanti la manutenzione e le eventuali riparazioni. 

Come è possibile riscontrare anche oggi nei corpi degli statuti vigenti nei primi anni del ’200. Conseguenze di questo comportamento del fiume erano repentine erosioni di abitati e di terreni coltivati al punto da cancellare di essi anche il ricordo. Un esempio di ciò è stato proprio Polesine! Nonostante, data la sua posizione in prossimità del Po, che ne aveva fatto un punto importantissimo per il controllo dei traffici sul fiume, luogo di riscossione del dazio della Longa, cioè del pedaggio che doveva pagare chi percorreva il fiume all’insù o all’ingiù con imbarcazioni trasportanti merci o persone, di quello del Porto, il dazio che doveva pagare chi attraversava il Po con merci o derrate. Ma questa vicinanza al fiume coi vantaggi economici che portava a chi ne aveva il dominio, aveva però il suo risvolto della medaglia: esponeva il paese ed il suo territorio e soprattutto i suoi abitanti alle conseguenze della volubilità del fiume. 

Per questo la storia di Polesine è costellata di erosioni, crolli e distruzioni. Da qui il mantenimento del termine villa o borgo nel migliore dei casi per l’identificazione del suo abitato. Cioè un agglomerato di case privo di fortificazioni. La costruzione della prima opera difensiva cioè della rocca risale ai primi anni del periodo di Rolando il Magnifico Marchese Pallavicino. E’ nel 1408 infatti che il marchese, forse a costruzione appena terminata, nomina Donnino di Sant’Andrea castellano della Rocca di Polesine che egli si impegna a costruire. Alla morte di Rolando il 5 febbraio 1547 i suoi feudi sono divisi tra i suoi sei figli e Polesine e Costamezzana toccano al peggiore di tutti: Giovan Manfredo, attaccabrighe sia coi fratelli che con lo stesso Duca e cogli emissari di questo, oltre che cogli stessi uomini di Polesine. Al punto di correre il rischio, nel 1477, di vedersi confiscare il feudo dal Duca e di indurre il fratello Giovan Francesco di Zibello ad interporsi col cancelliere ducale Cicco Simonetta per scongiurare questa eventualità, nonostante il comportamento tenuto nei suoi confronti da Giovan Manfredo durante la successione di Rolando il Magnifico, loro padre. 

E neppure la richiesta al Duca di poter allargare la cinta muraria del castello per costruire al suo interno una chiesa dedicata alla Madonna a Dio Onnipotente e ai Santi Vito e Modesto in modo da qualificarsi come religioso e pio, era servita a riguadagnare la sua fiducia, ne aveva fatte troppe. Però questa richiesta ci consente di attribuire a lui la costruzione di quei muri di fortificazione riaffiorati al centro dell’attuale alveo del Po e quasi subito minati per evitare che finissero contro di essi le imbarcazioni che navigano sul fiume ed i loro frammenti trasportati alla testa del pennello sul lato sinistro del fiume un po’ più a valle della bocca di Ongina. Nei primi anni del ’500 il Po aveva mantenuto il suo alveo a nord del territorio di Polesine in prossimità di Brancere e Stagno Lombardo si sposta repentinamente verso sud giungendo a lambire prima le mura del castello facendole crollare e poi la stessa rocca, erodendo il terreno sotto le sue fondazioni fino a che, nell’inverno del 1547, essa si afflosciò repentinamente su se stessa. 

Poi l’erosione continuò, facendo crollare, nei primi anni ’50, anche la chiesa costruita da Giovan Manfredo. Poi il fiume parve quietarsi e per più d’un centinaio d’anni la vita riprese: una nuova chiesa fu costruita più a sud in una posizione che pareva essere più sicura. Attorno ad essa sorsero le nuove abitazioni degli uomini del feudo e i palazzi dei tre rami dei marchesi Pallavicino di Polesine: il Palazzo delle Fosse del ramo di Vito Modesto, quello delle Due Torri di quello del cardinale Ranuzio nonché il “Casino” già dei Pallavicino di Lombardia poterono essere considerati fuori pericolo. Però agli inizi del Settecento il fiume si spostò ancora a sud facendo crollare la nuova chiesa e mettendo in serio pericolo il Palazzo delle Fosse, col rischio, per Vito Modesto, di perdere la propria abitazione. Ma con la morte del cugino cardinale Ranuzio che gli lasciava in eredità il suo Palazzo delle Due Torri si risolse la situazione. Vito Modesto fece appena in tempo a trasferirvisi che il suo Palazzo delle Fosse crollò miseramente durante una piena autunnale. Una decina di anni fa sull’isola davanti all’Antica Corte Pallavicina affiorarono dalle sabbie alcuni grossi blocchi di muratura, sicuramente parte dell’antico Palazzo delle Fosse. Dato che il ricco cardinale gli aveva lasciato anche una notevole quantità di denaro, Vito Modesto volle costruire a sue spese la chiesa con la speranza che essa fungesse da catalizzatore per la formazione del nuovo paese, onde evitare che la popolazione scoraggiata si trasferisse nei vicini feudi di Zibello e Busseto. Nel 1731 il marchese Vito Modesto passava a miglior vita, lasciando suo erede universale il “ventre pregnante della moglie” nella speranza della nascita di un maschio in grado di succedergli alla guida del feudo. Però nacque una femmina, alla quale fu dato il nome di Dorotea, in grado di ereditare i beni allodiali, ma non di succedere al padre nel governo del feudo che era una prerogativa esclusivamente maschile. Così il feudo di Polesine in mancanza di un legittimo titolare, fu incamerato alla Camera Ducale e da questa ceduto, insieme al feudo di Borgo San Donnino, alla duchessa Enrichetta d’Este, vedova del duca Antonio Farnese, a compensazione della sua dote matrimoniale che la Camera stessa, a corto di liquidi, non era in grado di renderle in contanti. Ma l’erosione del Po per altri cinquant’anni continuò a perseguitare Polesine. Anche il Pretorio costruito dalla Duchessa Enrichetta finì nel fiume, insieme a diverse case che si erano salvate in passato. Il ricordo di ciò è stato ben rappresentato su una mappa a volo d’uccello magistralmente redatta dal tecnico di Polesine Giovanni Ghelfi, con la relativa indicazione dell’anno di crollo dei vari fabbricati tra il 1816 e il 1873. Mappa ora esposta nel Comune di Polesine. Unico Palazzo a salvarsi fra tutti fu il palazzo delle Due Torri (l’odierna Antica Corte Pallavicina), insieme alla vicina chiesetta dedicata alla Madonna costruita dalla marchesa Dorotea negli ultimi decenni del Settecento, in squisito stile neoclassico”. 

Chi fosse interessato ad andare alla scoperta del paese perduto può sempre contattare il numero 3385951432 (Stefano Barborini). Inoltre, mettendosi in contatto con la nostra associazione, è possibile abbinare, all’opportunità dell’escursione in barca, anche quella di andare alla scoperta dei misteri (e sono tanti) e delle leggende che riguardano la zona di Polesine e Zibello (info al 3402499355). A tutto questo val la pena aggiungere che gli antichi edifici di Polesine di San Vito non sono gli unici, nell’area Parmense, ad essere stati spazzati via dal Grande fiume. Dal Po, come si evince anche dal libro “Castelli Parmigiani” di Guglielmo Capacchi (Silva Editore) sono stati divorati anche Polesine Manfredi (che sorgeva nei dintorni di Roccabianca), il castello di Stagno di Roccabianca e quello di Torricella (con la cappella di San Giovanni al suo interno). Addirittura non si sa con precisione dove si trovasse Rezinoldo (o Arzenoldo), che sorgeva comunque nei pressi di Roccabianca e sempre a ridosso di Roccabianca esisteva l’abitato di Tolarolo, ancora oggi “ricordato” nelle denominazione di una via e in alcuni poverissimi resti.



SI RINGRAZIANO STEFANO BARBORINI PER L’INIZIATIVA AVVIATA E PER L’ACCOMPAGNAMENTO AD UN LUOGO DOVE, DIVERSAMENTE, NON SI SAREBBE POTUTI ARRIVARE, E IL GEOMETRA GIANANDREA ALLEGRI PER LE PREZIOSE INFORMAZIONI E LA DISPONIBILITA’ DIMOSTRATA.

28 maggio 2015

TRA STRAGI E CONGIURE, TORTURE E LEGGENDE AL CASTELLO SALSESE DELLA GALLINELLA


di Paolo Panni



Oltre mille anni di storia accompagnano il castello della Gallinella, uno dei più antichi e rilevanti insediamenti militari ed economici del territorio della Val Stirone, con ogni probabilità edificato su una remota Via del Sale. 

Del maniero, posto a due passi da Contignaco, non rimangono che pochi ruderi, quasi introvabili, posti su un colle e “nascosti” dalla fitta boscaglia. Resti di antiche mura che, senz’altro, meriterebbero di essere salvate e valorizzate, per mantenere viva la storia del glorioso, movimentato passato di questo poderoso edificio. Al quale Roberto Mancuso, appassionato studioso e cultore di storia locale, un innamorato del suo territorio (e ce ne vorrebbero) ha recentemente dedicato una interessante monografia dal titolo “Il castello che non c’è. Storia del castello salsese La Gallinella”, frutto delle sue continue ricerche e di un appassionato approfondimento tra le pagine di una corposa documentazione bibliografica. 

Occupandoci, su questo sito, di misteri, dobbiamo evidenziare che su questo “capitolo” c’è materiale da vendere. Una volta tanto non si è di fronte a nomi e cognomi di ipotetici spiriti (o fantasmi) che si aggirerebbero fra i resti delle sue mura e non sono nemmeno state condotte, sul posto, indagini o sopralluoghi che abbiano fatto emergere anomalie. Ci si limita a prendere atto di quanto narrato da chi vive nei dintorni (e da chi ci si è trovato a vivere) che in più occasioni ha affermato di aver udito lugubri lamenti, inquietanti rumori e di aver visto strane luci. Come sempre fantasia e realtà si fondono e, secondo lo stile della nostra associazione, non si esprime alcun giudizio su questi fatti di cui si vocifera. 

Scavando però tra le pieghe della storia, che in questo caso è assai corposa, ecco emergere episodi sinistri ed inquietanti riguardanti questo antico maniero, nel corso dei secoli teatro di omicidi, torture e congiure. Anche per il fatto di essere stato di proprietà di nobili che, nel corso della loro esistenza, si sono macchiati di efferati delitti e, in qualche caso, ne sono anche stati vittime. 

Partendo dalla denominazione, “Gallinella” appunto, ecco emergere il primo mistero. Quale il motivo di questo nome? Probabile che derivi da terminologie legate al popolo gallico che, in passato, abitava queste zone. Un’altra ipotesi decisamente fantasiosa, da ascrivere probabilmente al mondo della leggenda popolare, è quella di una “dedica” ad una moglie di un Pallavicino chiamata “gallinella”, forse per il suo modo di atteggiarsi. Il castello, fondato da Adalberto Pallavicino, figlio primogenito di Oberto, ebbe tra i suoi signori anche Oberto VII Pallavicino Il Grande, vicario imperiale della Lombardia e della Lunigiana, morto, dopo essere caduto in disgrazia, nel 1269 nel castello di Gusaliggio di Valmozzola. Feroce avversario dei Guelfi, nemico dichiarato di Dio (nonostante i ripetuti solleciti, anche di un monaco, non volle mai saperne di pentirsi), fedele al casato Svevo, dopo il declino di quest’ultimo si ritirò proprio nel castello, da lui fondato, a Gusaliggio dove morì, vecchio, abbandonato e arrabbiato, l’8 maggio 1269. Come si può desumere in un precedente articolo dedicato alla Rocca di Gusaliggio (finita, come la Gallinella, in un cumulo di ruderi), si dice che l’8 maggio di ogni anno, per l’anniversario della morte, lo spirito di Oberto VII si faccia sentire tra i resti del maniero di Gusaliggio. 

La Gallinella fu al centro di lunghe contese e passaggi di proprietà. Fu dei De Lupis (diventati poi Meli Lupi), dei Petroni e poi, ancora, dei Pallavicino. Imponente maniero di confine, nel 1427 su al centro di una improvvisa, terribile strage. Venne infatti assediata dalle milizie della famiglia Sommi di Cremona e, memorie alla mano, in quell’occasione (ancora oggi ricordata come “la strage della Gallinella”) ci furono parecchi morti. 

Appartenne anche a Niccolò Pallavicino e, per diversi anni, anche ad uno dei più insigni protagonisti del medioevo italiano, il grande condottiero umbro Niccolò Piccinino, tra l’altro raffigurato nel celebre affresco dedicato alla “Battaglia di Anghiari” di Leonardo Da Vinci. Sepolto nel Duomo di Milano, Niccolò Piccinino si macchiò naturalmente di diversi fatti di sangue, compresa l’uccisione della moglie Gabriella Da Sesto, in quanto accusata di adulterio. Altro proprietario della Gallinella fu Rolando Pallavicino, accusato di numerosi soprusi e angherie, arrestato insieme alla figlia (e ad altre sette persone) nel 1599 dal capitano Massimiliano Scuttelari e dalle sue truppe (tutti furono imprigionati a Parma su provvedimento di Ranuccio I Farnese). A quel punto il castello venne confiscato dalla Camera Ducale e affidato all’antica e potente famiglia gentilizia piacentina dei Paveri Fontana. Qualche decennio più tardi fu di nuovo dei Pallavicino, e in particolare di Alessandro, ucciso nel 1654, all’età di appena 24 anni, per una questione di interessi, dall’arciprete della vicina pieve di San Giovanni in Contignaco. Secondo quanto riferito dalla storia l’arciprete in questione era don Claudio Dellaguardata e qui ecco emergere un altro mistero perché i conti non tornano. Infatti stando alla cronologia dei parroci di Contignaco pubblicata sull’ “Enciclopedia Diocesana Fidentina”, don Dellaguardata morì nel 1630: come avrebbe potuto allora uccidere il Pallavicino nel 1654? Anno, quest’ultimo, in cui era invece arciprete don Angelo Maria Lamberti, il primo di quattro sacerdoti Lamberti che si avvicendarono alla guida della parrocchia fino al 1780. Dopo don Angelo Maria Lamberti ci furono due don Lorenzo Lamberti e, infine, di nuovo, un don Angelo Maria Lamberti. Tutti nel giro di circa 150 anni. E’ lecito supporre, ma non ne abbiamo le prove, che qualcosa in questa cronologia di parroci non quadri. Fatto sta che il marchese Alessandro, figlio di Rolando e di Margherita Malaspina, è l’ultimo dei Pallavicino, dopo seicento anni, a possedere il castello della Gallinella. In seguito alla sua morte fu seppellito nella vecchia chiesa della vicina San Vittore da dove, si dice, reclami ancora oggi i suoi diritti sulla zona. 

Il maniero passò di nuovo alla Camera Ducale e, per pochi decenni, fu della famiglia Santi e, quindi, del Podestà Bernardini (nel XVIII secolo), padre di Giandomenico Romagnosi. Appartenne anche al conte Cesare Ventura, primo ministro di Parma dal 1789 al 1800. Nel 1807 (quando su provvedimento napoleonico fu soppresso il titolo di feudo) ne era invece proprietario il conte Giovambattista Ventura, uno dei fondatori del Nuovo Ordine dei Cavalieri Templari. Morì, il Ventura, nel 1826, anno in cui il maniero era già disabitato e in stato di incuria. Da lì iniziarono i primi abbattimenti, con parti murarie e affreschi che vennero portati nella vicina pieve di San Giovanni. Pieve che conserva anche una tela seicentesca raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Sebastiano e Agnese, proveniente dallo scomparso oratorio della Gallinella, chiuso definitivamente nel 1744. 

Importanti demolizioni ci furono nel 1828 e negli anni Settanta del Novecento quando, sul colle della Gallinella, venne avviata un’attività estrattiva che ebbe anche uno strascino giudiziario non indifferente. Il colle fu anche al centro anche dei combattimenti tra partigiani e truppe tedesche sul finire del secondo conflitto bellico. Nuove violenze e nuovo sangue, dunque, dopo la strage del 1427. 

Tornando ai Pallavicino, uno dei proprietari fu anche il marchese Francesco, signore di Scipione, colui che insieme al cugino Niccolò, nel 1374 tramò e diede vita ad una sanguinosa congiura ai danni dello zio Giacomo, signore di Bargone. I due cugini si fecero invitare, a Bargone appunto, per un banchetto al termine del quale Francesco sfoderò la spada ed il pacifico zio Giacomo morì decapitato. Ci furono altri morti e altre violenze (anche ai danni di donne) in quella occasione. Fu “risparmiato”, si fa per dire, solo Jacopo, capitano delle guardie di Bargone, trasportato e torturato con ferri roventi al castello della Gallinella col fine, da parte di Francesco, di farsi dire dove erano nascosti i documenti dello zio Giacomo. Francesco Pallavicino, dopo quei fatti, non rispettò i patti col cugino Niccolò e si stabilì tra le mura del maniero di Bargone dove, un paio di anni più tardi, fu trovato morto, bocconi, sul letto con gli occhi sbarrati. Una morte misteriosa che non ha mai trovato una spiegazione. Secondo la leggenda gli potrebbe essere comparso lo spettro dello zio decapitato oppure potrebbe essere stato avvelenato dal cugino Niccolò. Ma le morti misteriose ed i fatti cruenti non finiscono qui, visto che lo stesso Niccolò e la moglie, Maria Attendolo, sempre a Bargone vennero trovati misteriosamente morti qualche anno dopo. Tra i documenti dell’archivio parrocchiale ne spicca anche uno in cui si legge che nel 1557, essendo feudatario il tiranno marchese Francesco Pallavicino, “si ebbe una grande lite coi sudditi e si fecero processi gravissimi”. 

A Salsomaggiore, Francesco morì nel 1581 e a Gallinella gli succedette il figlio Rolando che, dalla moglie Margherita Malaspina, tra il 1575 e il 1594 ebbe qualcosa come quindici figli, tutti battezzati nell’orario dei santi Fabiano e Sebastiano in Gallinella. I loro nomi erano: Susanna; Caterina; Splendiano; Giovanni Francesco, Giulio Cesare, Galeazzo Pirro (questi ultimi tre erano gemelli); Susanna Teodolinda; Belisario, Zenobia; Francesco; Galeazzo; Artemisia; Belisario Giulio Cesare; Alessandro Sforza e Caterina. L’area della Gallinella, probabilmente “casa” per un certo periodo anche dell’eremita Rolando (Orlando) dè Medici, anacoreta che visse per 26 anni proprio nei boschi fra Tabiano e Salsomaggiore (morendo nel 1386), e del probabile passaggio di Dante Alighieri (gli Aldighieri, nome originario della famiglia alla quale chiaramente apparteneva Dante, erano proprietari del vicino castello di Contignaco) , è oggi caratterizzata da una fitta boscaglia, all’interno della quale rimangono, come anticipato, i pochi, poveri ruderi del glorioso, antico castello. Tra i resti anche quelli di un’ampia cisterna per la raccolta dell’acqua, Si dice vi fosse anche un pozzo dei tagli, cosa di cui si parla in una miriade di antichi castelli e borghi e di cui, quasi mai, si è trovata traccia e quindi lasciamo questa ipotesi, più che mai, nella sfera della leggenda. Passando invece a quella della storia si può ricordare che a livello civile ed amministrativo, Contignaco e Gallinella costituirono sempre, in passato, due distinte località come emerge anche nel decreto 19 giugno 1820 della granduchessa Maria Luigia d’Austria, che ne confermava la dipendenza, quali frazioni, del Comune di Salsomaggiore, eretto, in base ai nuovi ordinamenti introdotti da napoleone, il 15 giugno 1814. Successivamente Gallinella scomparve come frazione, assorbita da Contignaco.


FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

T.Marcheselli, “Fantasmi e leggende dei castelli Parmensi”, Umberto Nicoli Editore

R.Mancuso, “Il Castello che non c’è. Storia del castello salsese La Gallinella”, Pro loco Salsomaggiore e Associazione Cartoline da Salsomaggiore, 2015. 

M.Calidoni, M.C. Basteri, G.Bottazzi, C.Rapetti, S.Rossi, M.Fallini, “Castelli e Borghi. Alla ricerca dei luoghi del Medioevo a Parma e nel suo territorio”, Mup Editore, 2009. 

G.Capacchi, “Castelli Parmigiani”, Silva Editore, quinta edizione 1997

G.Finadri, “Castelli sconosciuti del Parmense”, Stamperia s.c.r.l., 2012

D.Soresina, “Enciclopedia Diocesana Fidentina. Vol. III. Le Parrocchie I Parroci Le Chiese”, Agraf 1979

D.Soresina, “Enciclopedia Diocesana Fidentina. Vol.II Città e paesi”, Agraf 1974









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