di Paolo Panni
Gnomi e folletti, spiriti e fantasmi, demoni e fate, miracoli e tesori nascosti: nella pubblicazione “Leggende della Val Ceno” uscita a luglio 2015 c’è tutto questo ed altro ancora. Il volume, edito dal Centro Studi Val Ceno, è frutto di un corposo lavoro di studi, ricerche e approfondimenti portati avanti da Giuseppe Conti, già sindaco di Bardi, stimato storico del suo territorio e, in più occasioni, prezioso collaboratore della nostra associazione.
Una sessantina di pagine, in tutto, e 41 leggende raccolte e messe nero su bianco, tramandate così ai posteri. Un lavoro importante, scrupoloso e attento; Conti ha saputo andare a “scavare” tra le memorie della gente, tra i racconti popolari, tra le storie raccontate dai ragazzi. Ne è nato così un volume che non è solo di leggende, ma anche di storia e di tradizioni, di enigmi e di antichi saperi, giunti sino a noi. Perché dietro ad ogni leggenda, quasi sempre, ci sono fatti realmente accaduti, più o meno spiegabili, nella gran parte dei casi avvolti dal mistero. Spesso ci sono storie di persone, di luoghi, ci sono le vicende della gente comune.
Il volume si apre con una delle leggende più popolari e diffuse dell’Appennino emiliano (e non solo): quella legata ai folletti che, secondo quanto si è tramandato, di notte facevano le trecce ai cavalli. Tra le più popolari spicca poi quella di Moroello e Soleste, i due innamorati che, da secoli, vagherebbero tra le mura della Fortezza di Bardi. Si parla di uno dei fantasmi più “popolari” del Parmense: quello di Bernardino Pallavicino che si aggirerebbe, ancora oggi, nel “suo” castello di Varano Melegari. Ci sono poi i miracoli della Devota della “Costa”, vale a dire Margherita Carlotti degli Antoniazzi (e qui si attinge a piene mani nella storia di una donna ancora oggi assai venerata a Bardi e dintorni). Non mancano le leggende legate al diavolo e quella celebre legata ai due fiumi “fratelli”, il Taro e il Ceno. Tra le più note anche quella del Lago di Varsi (dove sarebbe sprofondato nientemeno che un convento) a cui se ne aggiungono tante altre, diverse delle quali del tutto inedite. Raccolte in larga parte dall’autore che ha anche attinto, a piene mani, alle ricerche degli alunni della scuola elementare e media di Bardi e di Varsi. Altre derivano da testi di poeti, scrittori, giornalisti e studiosi, tutti indicati nella bibliografia.
Il “quaderno”, come indica nella prefazione anche Andrea Pontremoli, presidente del Centro Studi Val Ceno, si inserisce nel filone della cultura popolare locale, così importante nello sviluppo della comunità della Val Ceno. E vede scritte storie che, per tanto tempo, si sono tramandate solo per via orale, dai nonni ai nipoti e ai pronipoti. Storie che, nell’era di internet, del digitale e del virtuale, rischiavano di andare perse. Giuseppe Conti, con un’opera meritoria, mantenendo viva una memoria che è prima di tutto storia, ha saputo tutelare e valorizzare un patrimonio di grande valore. Non a caso, ancora Andrea Pontremoli richiama a “cominciare a scrivere” per evitare che tanta storia rischi di andare irrimediabilmente persa. “Sono convinto – conclude nella prefazione – che in un futuro sempre più veloce ed anonimo chi saprà fermarsi a riflettere da dove viene e dove sta andando sarà vincente. Spero che questo piccolo contributo del Centro Studi Val Ceno alla scoperta della nostra cultura ci possa aiutare a capire come indirizzare il nostro sviluppo sia come persone che come Comunità”. Un contributo tutt’altro che piccolo, aggiungiamo noi, perché quando si fa memoria della nostra storia, la si valorizza e la si tutela non si possono che fare passi avanti creando migliori condizioni di vita. Nella fattispecie del “quaderno” di Giuseppe Conti si dà lustro alla storia, ai misteri e alle leggende di una terra ricchissima di fascino, di vicende spesso avvolte dall’ignoto e dall’inspiegabile. Una terra che, come si è già scritto altrove, è forse tra la più misteriose d’Italia.
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