8 agosto 2016

MISTERI E LEGGENDE AL CASTELLO DI BOFFALORA


di Paolo Panni


Fatti di sangue, truffe, estinzioni di famiglie rimaste senza eredi, leggende rendono affascinante, e ricca di misteri, la storia dell’imponente castello di Boffalora, antico maniero che svetta su un dolce e verde colle, a due passi da Agazzano, in quel lembo di terra piacentina situato tra i torrenti Luretta e Tidone. 

Citato nei documenti più antichi come “Flatus Aurae”, sorse in origine come fortilizio con chiare funzioni militari e difensive; nel corso del tempo quindi subì numerose modifiche che lo portarono a diventare una residenza adatta ad ospitare le famiglie gentilizie che lo abitarono nel corso dei secoli. 

Quello che si può osservare oggi è un poderoso castello, dotato di cinque torri, quattro angolari e una centrale, impreziosito internamente da un ampio cortile delimitato da un loggiato settecentesco e da saloni con soffitti e cassettoni e scalinate con affreschi sulle volte. Anche se, va precisato, essendo di proprietà privata è visibile solo esternamente e, pertanto, non si è in grado di presentare immagini delle parti interne. Inoltre, negli ultimi anni, come si può notare fin da una rapida osservazione, ha subito danni e problemi alle coperture. 

A fronte anche del suo prestigio non si può quindi che auspicare che possa essere recuperato quanto prima e restituito al suo originario splendore, magari aprendolo al pubblico. In questo senso va detto che il caso del suo recupero è finito più volte al centro nientemeno che di discussioni parlamentari e l’attuale proprietario, promotore per altro di importanti e costosi interventi, ha più volte sollecitato l’intervento delle Istituzioni, anche a fronte del fatto che quello in questione è un bene di interesse pubblico. Ma, a quanto pare, ad oggi ben poco si è mosso, purtroppo. 

Tornando alla storia e alle vicende che hanno caratterizzato il castello va evidenziato un primo fatto di sangue, storicamente documentato, avvenuto il 13 luglio 1555 quando, all’interno delle sale poste al primo piano, fu assassinato il proprietario, Girardo Rustici, uomo particolarmente ricco che era entrato in possesso dell’edificio dopo che questo era appartenuto agli Arcelli (che subentrarono a capo del’immobile, per iniziativa dei Visconti, nel XV secolo). Girardo Rustici fu ucciso in seguito a una rapina. 

Nonostante il drammatico fatto di sangue il castello rimase di proprietà della famiglia Rustici ancora per diversi decenni, fino al 1634 quando passò a un Barattieri, marito di Marta Rustici. Appartenne a Gudo Barattieri (ultimo del ramo di Boffalora), e a sua moglie Elisabetta Zanardi Landi, fino al 1671 e quindi, per decisione della Camera Ducale, passò ai conti Bonvini e, da questi, al marchese Francesco Casati e a suo figlio, Bartolomeo. Quest’ultimo si macchiò di reati molto gravi al punto da perdere tutti i beni, compreso il castello, che nel 1716 divenne di proprietà del conte Federico Dal Verme che fece realizzare importanti restauri. Dieci anni più tardi ennesimo cambio di proprietà, col subentro del conte Gaetano Baldini che, a sua volta, fece realizzare importanti lavori. Tra l’altro, nel 1773, quando ancora era di proprietà della famiglia Baldini, il maniero ospitò la duchessa Maria Amalia di Borbone (come si legge ancora oggi in una iscrizione muraria), moglie di Don Ferdinando, durante una sua visita alla vicina Val Tidone. In seguito alla morte dell’ultimo dei Baldini avvenuta nel 1788, il castello passò di nuovo alla Camera Ducale e, quindi, ai nobili fratelli Tredicini che ottennero il titolo di marchesi. Successivamente la proprietà passò a Genesio Scarani, alla famiglia Radini Tedeschi, agli Anguissola Scotti (nel 1950) e alla famiglia Brichetto Orsi. Una serie quindi infinita di passaggi di proprietà, spesso segnati da fatti di sangue ma anche da truffe e da estinzioni di famiglie rimaste senza eredi. 

Da evidenziare che, a pochi passi dal castello, si trova anche una bella chiesa, a tre navate, da tempo inutilizzata, voluta nel 1726 da Gaetano Maria Baldini sulla stessa area in cui, un tempo, sorgeva un precedente oratorio dedicato a San Giuseppe. Particolarità della chiesa, che un tempo ospitava anche le reliquie di San Felice Martire, è il fatto, unico in provincia di Piacenza, di essere caratterizzata, a livello dell’abside, da due altari sovrapposti. 

Alle vicende del castello e della chiesa di Boffalora è quindi legata una leggenda che, da secoli, si tramanda in tutta la zona. E’ quella legata a una giovane del posto, di nome Silvia, orfana di padre. Gli eventi sarebbero avvenuti nel XVII secolo. La ragazza, molto bella, era promessa in sposa al figlio di un mugnaio locale ma, a causa della malattia di una zia di lei, il matrimonio fu rimandato. Silvia doveva infatti accudire la zia e, per un periodo, fu costretta di fatto a rincasare sempre a tarda ora. 

Stando sempre a quanto narra la leggenda, durante uno dei suoi rientri notturni, la ragazza si rese conto di essere inseguita da un lugubre personaggio, pallido al punto da sembrare un fantasma e, in preda al terrore, si rifugiò nella chiesa (evidentemente quella preesistente all’attuale) a pregare, nella speranza che quella “presenza” potesse andarsene. Così fu e, Silvia, per gratitudine, decise di fare voto di castità e di nubilato. Voto che, nel giro di qualche tempo, tuttavia venne meno e la ragazza, in preda al rammarico, cadde in uno strato depressivo e si ammalò. 

Nei dintorni si sparse addirittura la voce che potesse essere in preda alle cosiddette forze del male e, così, si decise di richiedere l’intervento di una vecchia strega del paese, di nome Veronica, esperta nell’uso terapeutico delle erbe. La guaritrice effettuò diversi rituali ed un giorno, per giungere alla completa liberazione dal male, invitò Silvia a indossare veli bianchi (in quanto il bianco è simbolo di purificazione) e a raggiungere la poco distante Fontana dei Quadrelli dove avrebbe dovuto raccogliere erbe che l’avrebbero fatta guarire. Silvia fece quanto le era stato indicato di fare e, proprio mentre era intenta a raccogliere le erbe, si sentì afferrare da braccia forti che la sollevarono e la portarono via. Nelle ore successive, non vedendola rincasare, la madre e il fidanzato iniziarono a cercarla, senza esito. Trovarono soltanto alcuni brandelli dei veli che indossava, impigliati nelle siepi di biancospino. Poco dopo, insieme alle persone che avevano partecipato con loro alle ricerche, videro spalancarsi una delle finestre del maniero e da lì si affacciò, in sembianze spettrali, la povera Silvia che si limitò a salutate tristemente i presenti con un cenno della mano, per poi gettarsi nel fossato del castello. Ancora oggi, secondo la leggenda, il suo spirito si aggirerebbe tra le sale e all’interno del parco del poderoso maniero. Parlando con diversi residenti della zona, non è mancato chi ha riferito di aver udito lamenti e visto strane luci, attorno al castello, anche in tempi relativamente recenti, così come c’è chi riferisce di aver ricevuto testimonianze in tal senso da familiari e conoscenti. 

Realtà o semplice fantasia? E’ questa la domanda finale che, come sempre, ci si pone, consapevoli di non poter dare alcuna risposta definitiva o, comunque, capace di “accontentare” tutti. Resta pertanto il mistero, di quello che nel tempo si sarebbe udito e visto attorno al castello: riguardante la “presenza” di Silvia o forse relativo al drammatico omicidio del 1555? 



FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

P.Cerri, G.Dadati, B.Tagliaferri – “Piacenza Misterios, guida ai castelli infestati, alle vicende inspiegabili e agli altri enigmi del territorio”, Edizioni Officine Gutenberg, 2015.

C.Artocchini, “Castelli Piacentini”, Edizioni Tep Piacenza, 1983

L.Cafferini, “Guida turistica Piacenza e la sua provincia””, Nuova Litoeffe, 2012.





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