di Paolo Panni
Si è già detto di Piacenza che può essere considerata, quando si parla di paranormale ed “entità”, come una delle province più “infestate” d’Italia per numero di casi. Ma la provincia più ad Ovest dell’Emilia ha vicende e storie, inquietanti e misteriose, in alcuni casi anche terrificanti, legate anche alla enigmatica presenza del maligno. Si potrebbe dire, in modo molto più chiaro e diretto, legate al diavolo. Quando si parla di questa entità spirituale e soprannaturale maligna, distruttrice e menzognera, contrapposta a Dio e al bene, sarebbe necessario aprire un lunghissimo capitolo per illustrare, quantomeno, la lunga serie di spiriti infernali e demoni compongono, per così dire, il vasto universo del male. Non è questa la sede per dilungarsi su questi approfondimenti e ci si limita a ricordare che diavolo e demoni esistono in tutte le principali religioni. Venendo subito ai casi di Piacenza e provincia, occorre evidenziare che numerose sono le vicende, tra storie realmente accadute, misteri e leggende, legate sia alla città che al territorio della pianura e della montagna.
Non si può che partire dalla città capoluogo, per soffermarsi su una delle vicende più crude e dolorose avvenute a livello nazionale, vale a dire l’esorcismo del 1920 che ebbe come teatro la basilica di Santa Maria di Campagna e che portò alla morte di due persone, tra cui l’allora vescovo di Piacenza Giovanni Maria Pellizzari. A questo fatto è dedicato un capitolo di ben trentacinque pagine sul libro <L’ultimo esorcista – la mia battaglia contro Satana” di padre Gabriele Amorth, il più famoso esorcista italiano, per altro recentemente scomparso.
Il titolo del capitolo “Il diavolo a volte ritorna, per uccidere” la dice lunghissima sulla drammaticità di questa vicenda avvenuta tra le mura di uno dei luoghi di fede più importanti dell’Emilia. Ad essere posseduta dal maligno fu una donna piacentina (vittima di una “fattura”) che si rivolse a uno dei frati minori che all’epoca portavano avanti il loro apostolato a Santa Maria di Campagna, vale a dire padre Pier Paolo Veronesi. Il monaco, ottenuta l’autorizzazione del vescovo Pellizzari, dovette ripetere più sedute di esorcismo, insieme ad alcuni assistenti, tra i quali padre Giustino (stenografo che documentò i fatti) e il dottor Lupi, allora direttore del manicomio di Piacenza, oltre a familiari della persona coinvolta. Furono sedute molto cruenti, durate più di due mesi. Il maligno si manifestò col nome di Isabò ma venne verificata anche la presenza di altri due diavoli, per altro più potenti, Maristafa ed Erzevaide. Dopo lunghe ed estenuanti sedute di esorcismo la donna fu liberata ma il diavolo, come si evidenzia appunto anche nel titolo del capitolo scritto da padre Amorth, tornò per vendicarsi, ed uccidere. Infatti, appena tre mesi dopo la liberazione, uno degli assistenti di padre Veronesi, tal signor Cassani, che dal diavolo era stato minacciato di morte, morì per un tumore improvviso. Lo stesso accadde ad un amico della famiglia della posseduta e al vescovo Pellizzari verso il quale, durante l'esorcismo, il diavolo preannunciò la morte imminente. Lo stesso esorcista, padre Veronesi, dopo quei fatti visse col terrore e con una grave menomazione al collo. Infatti un giorno fu improvvisamente colpito da una bastonata (ma nei dintorni non c’era nessuno) che costrinse il religioso, da quel momento, a vivere col mento puntellato contro il petto.
Rimanendo in città, altri fatti inquietanti avvennero in una casa del quartiere Sant’Agnese a causa della presenza di un indemoniato che, spesso, in preda a gravi crisi, lanciava sedie, oggetti e vettovaglie in strada, accompagnando i suoi gesti folli con urla e bestemmie. Fu a sua volta al centro di sedute di esorcismo, talmente violente che puntualmente il parroco, dopo aver accompagnato l’esorcista, scappava a gambe levate in preda al terrore.
Senza dimenticare, ancora in città, il celebre “castello del diavolo”, maniero che di fatto non c’è più e sorgeva tra viale Malta e via XXIV Maggio. Ciò che è rimasto si trova in un’area militare e, pertanto, è celato al pubblico. E’ comunque noto che fu fondato dal duca Pier Luigi Farnese dopo la conclusione dei lavori di realizzazione delle mura rinascimentali cittadine, avvenuta nel 1547. L’edificio è definito “del diavolo” proprio a causa della figura del suo fondatore. Pier Luigi Farnese, infatti, era sì un buon governatore che riuscì anche a rendersi benemerito ma era preso da vizi e malattie, privo di qualsiasi libidine (violentò anche un vescovo). Figlio nientemeno che di papa Paolo III (Alessandro Farnese), era considerato una figura diabolica e da qui, ecco il nome del “suo”castello. Altro personaggio piacentino decisamente inquietante fu Girolamo Scottino, vissuto nel Cinquecento, che esercitava scienze occulte ed era considerato un grande mago amico del diavolo, celebre in tutta Europa. Si dice che la gente al solo pronunciare il suo nome si faceva il segno di croce. Si ritiene che, a causa proprio della sua condotta, sia morto lontano da Piacenza, forse bruciato vivo dall’Inquisizione.
Luogo famoso appena fuori dalle mura cittadine è la chiesa di Camposanto Vecchia, più nota come chiesa “degli appestati”, per lunghi anni abbandonata e sconsacrata, al centro di vandalismi e riti di ogni genere che la fecero passare da luogo di sofferenza a “casa del diavolo”. Al suo interno fu anche violentata una giovane. Fortunatamente da alcuni anni è stata recuperata e riconsacrata.
Altra chiesa purtroppo presa di mira da vandali e satanisti è quella abbandonata dell’ex collegio dei gesuiti, a Roncovero di Bettola. Qui, nell’estate 2016, ignoti si sono introdotti, profanando una tomba, facendo danni e lasciando scritte sui muri dal significato molto eloquente.
La cosa è finita, ampiamente, anche sulla stampa locale e padre Achille Taborelli, scalabriniano, esorcista della diocesi di Piacenza, intervenendo sul quotidiano locale “Libertà” ha dichiarato che “il diavolo c’è ma tenta di passare inosservato per far credere di non esistere. In realtà si scoprono diverse situazioni che sono segno della sua presenza. I riti satanici nella chiesa abbandonata di Roncovero sono qui a dimostrarlo. Le pratiche sataniche – ha aggiunto il religioso – non sono mai ragazzate: sono manifestazioni del demonio che possono poi sfociare in episodi più seri”. Parole chiare e certamente pesanti.
Spostandosi in provincia, esattamente il Val Tidone, celebre è la vicenda delle sante Faustina e Liberata che ebbe come teatro la magnifica Rocca d’Olgisio, in comune di Pianello. Qui il demonio, apparso in forma di corvo, avvelenò Margherita, moglie del castellano Giovannato e madre delle due giovani divenute poi sante. Qui storia e leggenda, come spesso accade, si mescolano decisamente. Si dice, tuttavia, che Giovannato indisse un torneo per stabilire chi avrebbe sposato Liberata. Vi si presentarono dodici nobili pretendenti e, all’improvviso, un tredicesimo, sconosciuto, qualificatosi come “principe di Montenero” che si aggiudicò con abilità e destrezza, tutte le prove, dimostrando anche di possedere importanti ricchezze. Ma proprio durante la cerimonia nuziale, quando il sacerdote Marcello alzò la croce, il misterioso personaggio iniziò a dimenarsi e ad inveire, “smascherandosi” e sprofondando con il suo cavallo in una voragine che si era improvvisamente aperta nel terreno , ancora oggi presente e denominata, naturalmente, “pozzo del diavolo”. Da quel momento le due sorelle, Faustina e Liberata, si ritirarono in preghiera, nelle vicine grotte, rifiutando qualsiasi tipo di mondanità e vivendo una vita ritirata e ascetica, che le condusse poi alla gloria degli altari.
Sa decisamente di leggenda, poi, la vicenda legata al “Piplon” o “Pipanason”, una imponente roccia monolitica situata, ad un’altezza di circa 350 metri, lungo la strada tra Gropparello e Castellana, in Val Vezzeno. Davvero curioso il suo aspetto che richiama ad una figura umana. Secondo la leggenda “Piplon” era un diavolo sciocco che si travestì da cavaliere e, innamorato di una giovane del posto di nome Gesandra, siu rivolse a frate Gesualdo per riuscire a conquistarla. Il religioso capì con chi aveva a che fare e decise così, dapprima, di far scolpire una statua che gli potesse somigliare, mentre a “Piplon” disse che avrebbe potuto conquistare la ragazza solo se fosse rimasto fermo ad attenderla, tra le rocce, 7 anni, 7 mesi e 7 giorni.
Condizione che venne accettata e “Piplon”, nonostante si fosse stancato di rimanere in quella posizione, convinto di avere alle spalle frate Gesualdo che lo controllava, rimase immobile addormentandosi profondamente. Il tempo passò e il vento coprì di sabbia “Piplon” facendolo lentamente diventare una roccia. Quella che aveva alle spalle, in realtà, non era che la roccia scolpita con le sembianze di frate Gesualdo. Il monaco se ne andò ben presto salvando così la ragazza, mentre “Piplon” ancora oggi è lì, col naso all’insù, senza far paura a nessuno. Con la speranza che la roccia, che sta avvertendo il trascorrere del tempo, venga consolidata. Una storia, questa, che sa decisamente di leggenda.
Come leggendaria è anche la vicenda di Veleia Romana, località celebre per la sua area archeologica romana ma anche, secondo la tradizione popolare, per essere stata teatro dello scontro tra il diavolo e san Colombano, il monado irlandese che fondò il monastero di Bobbio, cittadina della Val Trebbia in cui si trova il famoso “ponte del diavolo”, di cui si tratterà più avanti. Secondo la leggenda di Veleia il demonio, al centro di ripetuti scontri con san Colombano, si rifugiò tra i monti per preparare la sua vendetta, rifugiandosi proprio nei pressi di Veleia. Ad un tratto vide sopraggiungere, in processione, nientemeno che i seguaci di san Colombano e, infuriatosi, corse sul monte Moria scatenando una terribile frana che distrusse Veleia. Ma nel compiere questo gesto, secondo la leggenda, il diavolo cadde battendo con forza i piedi sul terreno e lasciando così le sue orme che ancora oggi si possono vedere sulla pietra lungo il sentiero che collega Veleia al Parco provinciale di Monte Moria. Si tratta, tra l’altro, di una zona petrolifera, per questo si dice che il liquido nero (il petrolio) sarebbe il sangue del diavolo.
Spostandosi nell’appena citata Bobbio, non appena si giunge nel popoloso borgo appenninico non si può non notare il particolare ponte, lungo 273 metri, detto “Ponte Gobbo” per la sua curiosa, antica conformazione, ma ben conosciuto anche come “Ponte del Diavolo”. Anche qui la storia, la tradizione e le leggende vedono comparire le figure di san Colombano e del demonio. Va detto che anticamente si riteneva che congiungere due luoghi che la natura (e quindi Dio) aveva separato era da considerare un’opera diabolica. Secondo una prima leggenda il ponte (che alcuni storici ritengono essere raffigurato nella celeberrima Gioconda di Leonardo Da Vinci), fu costruito dal diavolo direttamente dopo una promessa fatta a san Colombano. In pratica il demonio promise al santo che avrebbe costruito il viadotto in cambio dell’anima del primo essere vivente che lo avrebbe attraversato. Secondo la leggenda fu aiutato da alcuni “diavoletti” (da qui la diversa conformazione delle arcate) ma, alla fine, san Colombano gli mandò un cane ad attraversare il ponte e così il diavolo si gettò nel Trebbia, accecato dalla rabbia, causando la deformazione del ponte. Secondo un’altra leggenda popolare, invece, un oste vendette la propria anima al diavolo (apparso in sembianze di un vecchio gobbo) e, da quel momento, coloro che attraversavano il ponte si sentivano male. La moglie dell’oste chiese e ottenne l’aiuto del vescovo e, dopo aver invitato a cena il vecchio gobbo, lo fecero ubriacare e addormentare. Nel frattempo, il vescovo con i parroci ed alcuni fedeli, realizzarono zone votive e al ponte fu impartita la benedizione, così quando il vecchio si svegliò, rendendosi conto di quanto era accaduto e vedendo il presule col bastone pastorale alzato al cielo, si infuriò e maledisse il ponte annunciando calamità e piene del Trebbia ogni qualvolta la religiosità popolare fosse diminuita.
Storie, mistero e leggende, dunque, ancora una volta si intersecano intorno ad una città e ad una provincia davvero ricche di fascino e di enigmi.
FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE
Padre Amorth e P.Rodari – “L’ultimo Esorcista – la mia battaglia contro Satana”- Piemme, 2011
C.Artocchini, “Tradizioni Popolari Piacentine. La fede, il mistero, l’occulto”- Tep edizioni d’arte, 2006
M.L.Pagliani, A.Marcarini, “Route 45: la Val Trebbia”- Diabasis, 2009
A.Grassi – F.Saltarelli – “Valtrebbia e Valnure – Un ponte per il Mediterraneo”, Tep edizioni d’arte, 1997
Archivi Storici Bobiensi, Centro Studi della Valle del Ceno, “Per antiche strade di Santi e Pellegrini dal Trebbia al Taro” , 1994
P.Cerri, G.Dadati, B.Tagliaferri, “Piacenza Misteriosa, guida ai castelli infestati, alle vicende inspiegabili e agli altri enigmi del territorio”, Edizioni Officine Gutenberg, 2015
Sacri corridoi.blogspot.it
FONTI FOTOGRAFICHE
Le immagini della chiesa di Roncovero sono tratte da Facebook e da Liberta.it
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