di Paolo Panni
Un luogo sperduto dove la natura si è ripresa, con forza, i suoi spazi. Non ci sono storie di fantasmi o di alieni, di gnomi o di folletti, non ci sono leggende tramandate dalla gente del fiume. Il mistero, qui, nel “cuore” della Bassa emiliana è quello del silenzio, del tempo che si è fermato, dei ricordi “vivi” di luoghi vissuti, dei segni di gente laboriosa che ha conosciuto, nel tempo, la vita dura della campagna, del lavoro dei campi, della conduzione delle stalle, in quegli ambienti dove non ci sono domeniche o festivi, dove non c’è Natale o Pasqua e dove il lavoro occupa larga parte del tempo.
La località è definita “Le Giare” (un nome piuttosto comune ad altri ambienti della pianura parmense) e si trova tra Gramignazzo e Borgonovo di Sissa Trecasali, a due passi dalla spettrale casa appartenuta in passato a Bruno Pavesi, arso vivo nella sua stessa dimora (dove oggi, a detta di alcuni, si aggirerebbe il fantasma di quell’uomo solo che per tanti anni l’ha vissuta): luogo, quello, di cui Emilia Misteriosa si è già occupata.
Alle “Giare”, è proprio il caso di dirlo, il Taro ha fatto il bello ed il cattivo tempo. Una decina di anni fa, durante una delle due maggiori piene, si è letteralmente portato via una vasta porzione di terreno creando un “braccio secondario” e formando, di conseguenza, un’isola. A nulla sono valsi, nel tempo, i tentativi di realizzare passaggi o guadi; il fiume ha sempre avuto ragione e si è costantemente fatto largo. Il destino, che per quell’area sembrava decisamente segnato, si è materializzato in tutta la sua evidenza. Campi e abitazioni (cinque in tutto) sono rimasti isolati del tutto ed il tempo, così, si è fermato. Non ha seguito i ritmi veloci della tecnologia e ha lasciato che la natura, lentamente, si riprendesse i suoi spazi.
Emilia Misteriosa, con una propria delegazione, è stata sul posto, raggiungendolo ovviamente in barca, grazie alla disponibilità di un esperto barcaiolo del posto. Un uomo sanguigno, di poche parole, capace di poche ma sagaci battute, una miniera di saperi che in buona parte tiene per lui.
Quella compiuta non è stata altro che una semplice esplorazione conoscitiva, laddove nessuno metteva piede da un decennio.
Il luogo si è presentato in tutto il suo misterioso fascino, animato solo dal canto delle cicale e dei grilli e dal cinguettio continuo dei gruccioni, “abitanti” stabili delle sponde che costeggiano l’isola. Nelle case coloniche tutto “parla” di coloro che le hanno vissute. Gente laboriosa e instancabile, semplice ma tenace, dalla scorza dura ma dal cuore buono. Gente che si è lasciata “scavare” le mani e “scolpire” le braccia dalla zappa e dal badile. Sotto i fienili, i carri di una volta, in legno, capaci di far gola a qualsiasi museo etnografico. Ci sono ancora i vecchi fornelli, quelli su cui si cuocevano pietanze semplici ma nutrienti.
C’è un vecchio cappello, di quelli che una volta si mettevano alla domenica per andare a messa col vestito buono, uno sgangherato motorino sbranato dalla ruggine, utilizzato forse da qualche giovane per scorrazzare da una carraia all’altra; ci sono i vecchi camini in pietra, di fronte ai quali nelle fredde e nebbiose sere invernali si cercava un po’ di calura sorseggiando magari un buon bicchiere di vino rosso, chiacchierando coi familiari dei pochi fatti del giorno conditi da qualche aneddoto. Al centro dell’isola c’è ancora una grande corte, con un paio di storiche e grandi stalle degne di un set cinematografico. Corte che lascia intendere l’importanza e il rango di chi, un tempo, la abitava. A poche centinaia di metri, un rudere sembra annunciare in anticipo l’inesorabile destino a cui il luogo sembra dover forzatamente andare incontro. Tra una abitazione e l’altra, lontano da qualsiasi stile urbanistico, grandi appezzamenti di terra, che per anni e anni hanno ospitato le tipiche coltivazioni della Bassa, oggi invasi invece dalle vegetazione spontanea che, lentamente, sta avvolgendo tutto.
Un luogo magico, senza tempo, dove le sensazioni, chiaramente soggettive, abbondano lasciando spazio a tante interpretazioni. Dove anche il passato è un mistero perché poco, o nulla, si conosce della storia di questa vasta area golenale. La corte, elemento architettonico più significativo di tutta l’isola, è a sua volta relativamente recente. Non è infatti visibile nei catasti napoleonici e quindi può essere datata al periodo compreso tra l’Ottocento e il Novecento. Di certo, viste le dimensioni, è stata abitata e vissuta da molte persone, teatro quindi di un numero significativo di vicende umane della Bassa.
Oggi il Taro, uno dei principali corsi del Parmense, che dalla montagna scorre vero la pianura, a ormai una manciata di chilometri dal suo “incontro” con il Po, avvolge e nasconde la storia, le vicende, il passato, il presente e il futuro di quest’isola deserta. Uno dei pochi luoghi della Pianura Padana in cui il tempo si è fermato e dove, appunto, il mistero più grande è dato dal silenzio.
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