di Davide Demaldé
Particolare del documento della Confraternita del Santissimo Nome di Gesù, in San Giovanni Battista Decollato, Parma. |
Lo storico bussetano Mario Concari scrive che un tempo, passando vicino alla casa del maniscalco Andrea Bianchi di Amilcare, in via Ghirardelli a Busseto, la gente pronunciava la frase: “Gnus-gnus, ma’g sa ‘d cristianus”. Si dice infatti che in quella casa fu commesso un orrendo delitto di cui si cercò di far sparire le tracce tra le fiamme del focolare. Il fatto inquietante particolarmente impresso nei ricordi dei Bussetani si perde nella leggenda, da cui però emergono due nomi precisi: Bianchi e Moja (1).
A conferma dell’ipotesi che non si tratti di leggenda ma di reale fatto di cronaca, affiora un antico documento della Confraternita del Santissimo Nome di Gesù della Chiesa di San Giovanni Battista Decollato in Parma, di cui per caso veniamo a conoscenza e che scopriamo in una pubblicazione dalla Biblioteca di Busseto (2).
Correva l’anno 1855. In un ottobre ormai alla fine, in una Emilia già nebbiosa, appena fuori le antiche mura di Busseto abita Bianchi Carlo, celibe, dei furono Fabio e Maradini Rosa. L’atto di battesimo della parrocchia della Pieve di Sant’Andrea recita che Carlo Antonio era nato l’8 marzo 1815, alle 4 del mattino (3).
Era la festa di San Giovanni di Dio, il santo prima pastore, bracciante, venditore ambulante, libraio e poi dedito ai poveri sofferenti: “Fate bene fratelli!” diceva quando chiedeva la carità. Carlo Bianchi, soprannominato Timian, è suonatore di violoncello e commerciante di zolfanelli. Verso la fine dell’estate accoglie nella sua casa Moja Luigi, celibe, nato a Frescarolo, dai furono Giacomo e Antelmi Angela, storpio nell’aspetto (4), e anch’egli rivenditore di zolfanelli. Il padre di Luigi è morto di colera nell’agosto appena trascorso.
Nel grigiore dell’autunno emiliano Carlo sembrerebbe rappresentare un lume di buona speranza. Ma una grave caduta di condotta lo porterà alla morte, sotto l’insegna di un altro San Giovanni, il Battista Decollato.
Un giorno, mentre il Bianchi è fuori città per lavoro, il Moja conosce Demaldé Domizio. E’ il fratello del nonno del mio bisnonno. Figlio di Giuseppe e Angela Stecconi è stato battezzato nella Collegiata di San Bartolomeo a Busseto sabato 12 maggio 1804: padrino e madrina portano cognomi importanti nella cittadina, Giuseppe Viola di Francesco e Alba Viola di Giulio (5). Il Demaldé è amico di Carlo e abituale frequentatore della casa. In quel primo incontro Luigi Moja viene a conoscenza che il Domizio, anche lui zolfanellaio, porta sempre con sé una certa quantità di denaro in oro e argento, frutto di risparmi e privazioni.
Tornato il Bianchi a Busseto, il Moja racconta all’amico della visita del Demaldé e della scoperta del suo denaro e Carlo, che già sa delle monete di Domizio, si lascia trascinare con lui in un empio progetto.
Il 5 novembre Domizio, che abita fuori Busseto, si ferma a pranzo a casa di Bianchi perché l’indomani, come ogni martedì, programma di recarsi al mercato per vendere la propria merce. A tavola il Bianchi fa credere al Demaldé che quella stessa sera dovrà assentarsi per andare a suonare il violoncello in un luogo detto la Colombarola e Domizio allora chiede di poter dormire nel letto al suo posto. Carlo glielo concede ben volentieri. Intorno alle sette di sera, dopo aver cenato con polenta insieme agli amici, il Bianchi preso il violoncello esce dalla stanza fingendo di andare al concerto. Il Demaldé invece si infila nel suo sacco e si corica sul giaciglio. Il Moja, sdraiato vicino alla preda, finge di dormire, e dopo aver atteso che il malcapitato fosse immerso nel sonno, chiama il complice che nel frattempo si è munito di un grosso pezzo di legno. Entrato nella camera da letto, il Bianchi colpisce con estrema forza, per tre volte, la testa del Demaldé riducendolo in fin di vita.
A quel punto il Moja suggerisce di distruggere ogni traccia del delitto bruciando l’intero corpo della vittima sul focolare del camino nella cucina attigua. Il Bianchi, approvato di nuovo il satanico consiglio, dopo aver posto delle fascine sul focolare aiutato dal Moja, trascina il Demaldé verso l’altra stanza tirandolo per i piedi e quando il malcapitato, semivivo, cerca di aggrapparsi agli stipiti dell’uscio, lo prende per le mani. Posto alla fine il corpo dell’amico bocconi sulle fascine, Carlo accende il fuoco, alimentandolo in seguito con altra legna. Domizio brucia e si consuma fino alle 4 del mattino, mentre i due complici, spartito il suo denaro, riposano stanchi sullo stesso letto dove il Demaldé è stato colpito a morte.
Con Sentenza della Sezione Criminale della Corte Regia di Parma del 20 febbraio 1857 confermata dalla Suprema Corte Regia di Revisione il 23 marzo 1857, Bianchi Carlo e Moja Luigi vengono dichiarati colpevoli del crimine di assassinio qual mezzo a commettere furto in danno dell’ospite Demaldé Domizio, e vengono condannati alla pena di morte ed alle spese in solido.
L’esecuzione della Sentenza capitale avviene nel giorno sabato 28 marzo 1857 alle ore 11 antimeridiane nel baluardo di San Francesco a Parma.
Il preciso racconto di questa incredibile storia ci è fedelmente tramandato dal foglio volante firmato da Carlo Paita della Arciconfraternita del Santissimo Nome di Gesù della chiesa di San Giovanni Battista Decollato in Parma, una comunità religiosa di via Cavestro dedita all’assistenza dei condannati a morte. Il giorno 26 marzo 1857 il Rettore invitava i confratelli a compiere il pietoso ufficio dell’accompagnamento spirituale di Bianchi e Moja(6).
E’ opinione popolare tra i parmigiani della città che questi furono gli ultimi condannati del Ducato. In realtà altre persone furono giustiziate in seguito, ma il caso di questi due omicidi rimase impresso nei ricordi dei nostri avi molto più degli altri, tanto da assumere una certa unicità.
La Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma chiese ed ottenne dall’Arciconfraternita, custode in diritto dei corpi dei giustiziati fino alla sepoltura, la cessione del Moia e del Bianchi per motivi di studio e di istruzione degli studenti. Le parti anatomiche sottratte furono elencate dal professore di Medicina Legale Carlo Cipelli e comunicati con lettera al prefetto di sagrestia don Francesco Tosi. Le rimanenti spoglie, chiuse nelle rispettive casse, furono rinviate ai religiosi per la tumulazione nel cimitero della Villetta (7).
(1) Mario Concari, Bo’a nott, Bassi, 1995, p. 76-78.
(2) Carlo Soliani, Nelle Terre dei Pallavicino, 1802-1860, Busseto, Biblioteca della Fondazione Cariparma, 2011.
(3) Archivio Parrocchiale di Sant’Andrea di Busseto, Registro dei battezzati.
(4) Il dettaglio è descritto nel libro di don Ferruccio Botti, La forca d’ Bretta, 1958, p.55.
(5) Archivio Parrocchiale di Busseto, Registro dei battezzati.
(6) Carlo Soliani, Nelle Terre dei Pallavicino, 1802-1860, Busseto, Biblioteca della Fondazione Cariparma, 2011.
(7) Don Ferruccio Botti, La forca d’ Bretta, 1958, p.55-58.